San Gennaro è nato nel vibonese?

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Domani, 19 settembre, come da tradizione, il Duomo di Napoli verrà invaso da migliaia di fedeli per assistere al cosiddetto “miracolo di San Gennaro”. I fedeli napoletani attenderanno con ansia lo sventolio del fazzoletto bianco che annuncerà, si spera, ancora una volta, la liquefazione del sangue del santo vescovo e martire.

Esiste un altro posto nel mondo in cui il santo patrono di Napoli è veneratissimo ed amato. Questo luogo è un piccolo centro della provincia vibonese, forse sconosciuto ai molti ma che è legato profondamente alla figura del “Santo napoletano”  e che domani sarà in festa  ed unito nello stesso nome:  San Gennaro! Questo posto, è Caroniti frazione di Joppolo in provincia di Vibo Valentia che sarebbe legato al “santo napoletano”  perché, secondo studiosi locali, udite udite,  proprio Caroniti è il paese natale di San Gennaro.

Secondo queste affermazioni dunque San Gennaro sarebbe nato a Caroniti e non a Pozzuoli come sostiene la tradizione napoletana. L’ipotesi delle origini calabresi del santo simbolo di Napoli, sono circolate diverse anni fa e in questi anni si sono fatte sempre più insistenti. Ovviamente nella città di Napoli l’idea della calabresità del loro santo, non è sta accolta con entusiasmo, anzi è stata rigettata in modo assoluto e categorico.

Pubblichiamo un articolo datato 1997   a firma di  don Bruno Sodaro allora Rettore del Santuario Madonna delle Grazie di Torre Ruggero(CZ)

“POSSIAMO AFFERMARLO CON CERTEZZA: SAN GENNARO E’ NATO IN Calabria!”
di don Bruno Sodaro

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La bellissima statua del Santo nella chiesa di Caroniti

Che San Gennaro sia nato in Calabria possiamo affermarlo con certezza, perché non solo la tradizione popolare, ma anche documenti antichi confermerebbero questa tesi. Caroniti (ab.782), frazione di Ioppolo (paesino fino a qualche anno fa in provincia di Catanzaro, ma ora di Vibo Valentia, da quando cioè questa città è stata costituita provincia), vanta i natali del famoso vescovo di Benevento, che nel 305 subì il martirio a Pozzuoli, durante la grande persecuzione di Diocleziano. Nella stessa borgata vi è un’antica chiesa a Lui dedicata, dove una magnifica statua del Santo è molto venerata. Non me ne vogliano i Napoletani (sia di Napoli che di Benevento) se oso affermare ciò, ben sapendo che i Santi appartengono a tutti gli uomini e a tutto il mondo. Del resto non sono il solo ad affermarlo, perché prima di me altri hanno reclamato, ed a ragione, le origini calabresi del Santo, il grande Patrono di Napoli. I buoni napoletani (sia di Napoli che di Benevento) dovrebbero andar fieri ed essermene grati per quanto da me affermato e per quanto dirò sul loro santo Patrono perché smentisco i critici, che hanno negato e che negano perfino l’esistenza di San Gennaro (tanto che Paolo VI era stato indotto nel 1964 ad escluderlo dall’elenco dei Santi), e provo invece: – che San Gennaro è realmente esistito; – che ha avuto i suoi natali a Calafàtoni, villaggio ormai scomparso, nella zona del monte Poro, villaggio sostituito da Caroniti, e che ivi ha vissuto la sua fanciullezza; – che è stato vescovo di Benevento; – e che è stato martirizzato a Pozzuoli nel 305. I Caronitesi vantano questa tradizione peraltro confermata sia dalla chiesa parrocchiale, che ha sostituito quella precedente diruta, che era parimenti ab immemorabili dedicata a San Gennaro, e i cui resti sono “una muraglia di pietra e calcina lunga tre metri ed alta uno”, sorta sui ruderi della casa di San Gennaro; sia dal numero delle persone che in Caroniti hanno assunto ed assumono tuttora il nome del Santo, come usano anche molti napoletani. Qualcuno (maliziosamente?) ha voluto confondere il Santo Patrono di Napoli, nato a Calafàtoni, con gli altri 14 Santi, che portano lo stesso nome, osando dire che il Santo venerato dai Caronitesi è uno di questi 14 e non il San Gennaro venerato dai napoletani. Infatti nel Grande Dizionario Illustrato dei Santi dell’Abbazia Sant’Agostino di Ramsgate, vengono enumerati ben 15 Santi col nome di Gennaro. Tutti martiri, ma nessuno di essi era vescovo, escluso San Gennaro, Patrono di Napoli. Laddove l’antica statua lignea, venerata dai Caronitesi porta le insegne episcopali. Perciò il Padre Antonio Bellucci dell’Oratorio in “S.Gennaro nacque in Calabria?” (Napoli, Tip. Jazzetta 1926) non può confondere San Gennaro, patrono di Napoli, con gli altri 14; poiché i Caronitesi di nessuno di essi reclamano la nascita, comprovandola con la tradizione e la documentazione, ma di San Gennaro, vescovo di Benevento, martirizzato a Pozzuoli, patrono di Napoli. Qualche altro ipotizza (ignoriamo se ironicamente) che sia stata data al Santo una specie di “cittadinanza onoraria” di Calafatoni… Saprebbe costui, o costoro, dirci quali meriti o importanza potesse avere in tal caso un insignificante borgo sperduto tra i monti calabri, come quello di Calafatoni? Ma via! non cadiamo nel ridicolo!… Non si riesce purtroppo a comprendere come i napoletani o altri non si convincano della notizia sulla nascita di S.Gennaro in Calabria! “San Gennaro -essi dicono- non può aver avuto i natali in un borgo sperduto fra le montagne calabresi”. Ed allora si vuole agganciare la sua nascita a una “gens januaria”, che forse gli diede “nobili natali”. Come se i Santi con l’aureola debbano soltanto sortire da nobili natali e da illustre prosapia! Per costoro che la pensassero così, i poveri non troverebbero alcun posto in paradiso… Bandiamo allora dal discorso della montagna di Gesù la prima delle Beatitudini, la parabola del ricco epulone e la costante affermazione ‘la chiesa dei poveri”, per dar ragione a tutti coloro che pretendono di andare o di mandare al paradiso “in carrozza”. Ma ben altra ragione affiora tra tanto clamore per soffocare la verità: i calabresi non possono essere santi…né dare santi…perché gente abbietta, indegna, spregevole, bruta…e perciò non possono aver dato i natali a San Gennaro. Viene in mente quell’espressione, mi pare del Tasso: “Non solo per cittadi e per castella, / ma per tuguri ancora e per fienili / sorgon gli animi gentili”. La lettera del 432 del prete Uranio, riportata in “Oggi” (n. 49 del 4 dicembre 1996), in cui si indica “il vescovo Gennaro” come una “gloria di Napoli”, nulla prova della napoletanità del Santo, come Padova per S.Antonio, o Bari per S.Nicola, o Milano per S.Ambrogio, ecc., dove i Santi sono “per adozione”, perché “importati”, e non nativi. Né l’affresco o gli affreschi delle catacombe napoletane possono essere prove irrefragabili. La decorazione col “nimbo crucigero” è segno dei grandi personaggi e della chiesa locale, e cioè, sia dove hanno avuto i loro natali, sia dove hanno svolto la loro opera. Anche la tradizione fa storia, e non può essere respinta. E questa tradizione di San Gennaro in Caroniti è antica, antichissima, che non si può bandire con leggerezza nelle indagini sulla biografia del Santo. E se la biografia è ricostruita e svolta con documenti insicuri, o con lo sforzo di collegarla con la prosapia dei “Januari” napoletani, o per il contrasto fra le città che si disputano il vanto dei natali del Santo, non può essere vera storia.

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L’altare del santo nella chiesa parrocchiale

Perciò non si può respingere a priori come falsa la tradizione d’un popolo che addita alla venerazione i luoghi, dove San Gennaro avrebbe avuto i suoi natali e trascorso la sua fanciullezza. Perché Calafatoni (o Caroniti) vanta di aver dato i natali a S.Gennaro? Riportiamo le prove già pubblicate in “Santi e Beati di Calabria” del maggio 1996 (Ed.Virgiglio), cui aggiungiamo altre di nostra conoscenza. Tommaso Aceti (sec. XVII), nativo di Figline Vegliaturo (CS ), grande teologo, giurista e vescovo di Lacedonia, nelle sue “Annotazioni” all’opera di Gabriele Barrio “De Antiquitate et situ Calabriae” (Roma, Mainardi , 1743) riferisce che San Gennaro nacque a Calafàtoni, villaggio ormai scomparso, nel comune di Joppolo, presso il monte Poro. Raffaele Corso (XIX-XX), etnologo di Nicotera, in “Calabria Letteraria” (rivista di cultura diretta da E. Frangella), scrive di “una muraglia di pietra e calcina, lunga tre metri e alta uno” dei resti della chiesa di Calafatoni, sorta sui ruderi della casa di San Gennaro, che cosi solea chiamarsi “casa della nascita di San Gennaro”. I magistrati di Nicotera, nel cui territorio si trovava il villaggio di Calafatoni, ci assicura il dott. Bruno Polimeni nel periodico “La Città del Sole”, sia nelle lettere patenti che nei passaporti inserivano la seguente formula: “Dei gratia et intercessione S.Januarii Episcopi et Martyris concivis nostri etc.” (“Per la grazia di Dio e per l’intercessione di San Gennaro, vescovo e martire nostro concittadino”).

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Scorcio di Caroniti

I Vescovi di Nicotera nel sec.XVII e XVIII erano soliti firmarsi: “Episcopus Nicoterensis et Concivis S. Januarii Episcopi et Martiris” (“Vescovo di Nicotera e Concittadino di San Gennaro Vescovo e Martire”). Il che risulta fino a Mons. Vincenzo Giuseppe Marra (1792-1816), perché fino allora Calafatoni era in territorio della Diocesi di Nicotera. Dopo la divisione dei Comuni i Vescovi non hanno più usato tale dicitura. Al piedi del monumento funebre di questo stesso vescovo Marra c’era scritto: “Joseph Marra Episcopus Nicoterensis concivis Januarii Episcopi et Martyris” (“Giuseppe Marra Vescovo di Nicotera concittadino di Gennaro Vescovo e Martire”). Nella stessa cattedrale di Nicotera c’era un Beneficio fondato dal vescovo Mons.Ottaviano Capece (1582-1619), dedicato a San Gennaro “Episcopus et Concivis”. Inoltre nel museo diocesano di Arte Sacra di Nicotera vi si trova un antico pastorale del sec. XV, sul cui riccio fino alla metà del sec.XIX c’era la statuina in argento di San Gennaro. Vi sono poi le “Memorie” di Luigi Sorace (sec. XIX), in cui si legge che il vescovo di Nicotera Mons. Antonio Luca Resta, si reca di persona a visitare quei luoghi, “dove San Gennaro era nato”, riferendosi a Calafatoni. Lo stesso vescovo – riferisce Raffaele Corso – nella bolla di elezione a parroco di Don Giannettino, il 30 settembre 1578, comincia con la dicitura: “Annuente Domino nostro Jesu Christo, ac Beato Januario Episcopo et Martyre, quem Calaphatonenses meruerunt habere colonum”. Lo stesso vescovo Mons. Resta, appesa nominato vescovo di Nicotera (1578) “volle portarsi di persona a visitare il villaggio di Calafatoni in punto di estinguersi e di Caroniti sorgente, ed ancor senza chiesa…” :così racconta il canonico Sorace, nativo di Nicotera. Giunto sul luogo vi trovò soltanto 25 case disabitate, appartenenti ai pastori di pecore, che avevano trovato più agevole la posizione di Caroniti per la pastorizia, perché più amena, donde nei giorni festivi erano costretti ad andare a Calafatoni per partecipare alla Messa. Onde ovviare a tale inconveniente Mons. Antonio Luca Resta, udito Don Giannettino, cappellano e rettore della chiesa di Calafàtoni, che in detta chiesa non si conservava più da tempo il Santissimo Sacramento né i sacri Olii per l’assenza degli abitanti, ormai emigrati in Caroniti, e che non vi risiedeva più nemmeno il parroco, ma soltanto vi andava da Preitoni a celebrare nei giorni festivi, e che la chiesa era stata intitolata a San Gennaro, perché quello era il luogo, dove era nato il Santo, ordinava che in Caroniti, poco distante da Calafàtoni, si fabbricasse una chiesa da dedicare con lo stesso titolo di San Gennaro ed una casa parrocchiale per Don Giannettino. Stabiliva che intanto Don Giannettino risiedesse a Calafàtoni fino al completamento e della chiesa e della casa parrocchiale. Quindi passasse a Caroniti. Stabiliva altresì che la chiesa di Calafatoni si conservasse bene, come chiesa rurale, in memoria del Santo ivi nato, data la frequenza dei fedeli che vi si recavano per offrire voti. Anche Ludovico Centofloreno, nativo di Città-Nuova (Istria), in diocesi di Fermo, fatto vescovo di Nicotera da Innocenzo X il 2 maggio 1650, partito da Roma per recarsi a Nicotera a prender possesso, passando per Pozzuoli ebbe il piacere di avere una cronaca manoscritta, mostratagli da quel vescovo (che era lo spagnolo Martin De Léon y Càrdenas), dalla quale ebbe ad apprendere che S. Gennaro, vescovo di Benevento, era nato a Calafàtoni, in diocesi di Nicotera. Il canonico Surace scrive che Mons. Centofloreno, fatta una copia di proprio pugno, la portò a Nicotera come una preziosa reliquia, per fare una sorpresa ai Nicoteresi (pensando che questi non conoscessero le origini di San Gennaro a Calafatoni) e la munì del suo certificato attestante di averla estratta dalla cronaca esistente nell’archivio di Pozzuoli. Copia che andò perduta nel terremoto del 1783. Peccato che l’archivio vescovile di Nicotera, un tempo così ricco di documenti, non li abbia più, perché lungo il corso dei secoli subì notevoli danni e molti furti. Aggiungiamo che fino a pochi anni or sono, prima dei lavori di restauro del 1930, cui fu sottoposta la chiesa cattedrale di Nicotera, sull’arcata della cappella del Santissimo era dato leggere a titoli cubitali “Divo Januario Episcopo Concivi ac Patrono”. Antonio Crudo e Anna Cocciolo sono i proprietari del terreno, coltivato a vigna, dove sorgono i ruderi della vecchia casa del Santo. In questo terreno vi sono due grossi mandorli, sotto i quali spunta dal suolo una grossa pietra rotondeggiante, su cui è impressa l’orma di un piede, che la gente del luogo asserisce essere l’impronta di un piede di S. Gennaro ragazzo. Su questa pietra è stata costruita un’edicoletta, all’interno della quale vi è un’effige del santo martire, illuminata da lampade votive. A circa 3 chilometri da Calafàtoni sorge Caroniti con le sue viuzze caratteristiche a scalinate. E qui vi è pure l’antica chiesa matrice dedicata a San Gennaro, la cui statua secentesca troneggia sull’altare maggiore . Recentemente sono stati fatti dei restauri ed un nuovo portale è stato installato su suggerimento dell’avv. Pasquale Rombolà, il quale con grande devozione era solito recarsi in questo luogo per venerare il Santo, del quale andava fiero per la sua calabresità, che vantava specialmente quando si trovava in ambienti napoletani. Nella relazione “ad limina” del 1681 di Mons. Francesco Aricò si legge: “Civitas Patronum habet S. Josephum cum maxima devotione ac etiam S. Januarium episcopum et martyrem qui civis oriundus dictae civitatis hic esse dicitur”. Mons. Luigi Petito, ex parroco del duomo di Napoli, e attualmente ottuagenario sacerdote in pensione, nel suo volume “San Gennaro”, pubblicato agli inizi degli anni Ottanta, riferisce che vi è una tradizione che riconduce i natali del Santo a Calafàtoni.

LA VITA DEL SANTO

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Facciata della chiesa

 Fatte queste premesse passo a delineare la vita del Santo, ispirandomi a quanto ebbe a descrivere nel 1892 Diego Corso in “La Calabria”, rivista del tempo, per quanto riguarda la nascita e la fanciullezza del Santo, per rivolgermi quindi alle “Passiones”, e cioè agli Atti Vaticani e agli Atti Bolognesi, nonché alla “Passio S. Januarii” e alla vita greca che sarebbe stata scritta nel sec. V da un monaco basiliano, certo Emanuele del Lucullano di Napoli. San Gennaro nacque da genitori poveri. Perduta la madre a pochi anni, dal padre, passato a seconde nozze, veniva incaricato a fare da guardiano ai maiali. Dopo qualche tempo, il ragazzo, avendo conosciuto un eremita del villaggio di Aràmoni, lasciava due volte la settimana gl’immondi animali incustoditi in un semplice quadrato, da lui tracciato sulla terra con la punta di un bastone, per recarsi a trovarlo; e da lui veniva amorevolmente istruito. Al ritorno trovava gli animali al loro posto, ed anche qualche tozzo di pane nero, che la matrigna gli portava abitualmente ogni giorno, e, quando non trovava il ragazzo sul posto, glielo lasciava sulk tronco di un ulivo. Un giorno però passava di là il suo istruttore eremita coi suoi discepoli. Il pio ecclesiastico o eremita, come qualcuno preferisce definirlo, si avvicina a Gennaro e gli chiede: “Gennarino, ne ha pane?”. Il ragazzo risponde di no, e riceve un rimbrotto dall’eremita, per non avergli detto la verità. Ma il ragazzo si scusa subito dicendo: “Ne ho, ma non è buono per voi”. Il pane era nero e stantìo, forse portatogli da diversi giorni dalla matrigna. L’eremita insiste di portaglielo, comunque fosse, pur di sfamarsi. Tre pani splendevano all’inforcatura dei rami d’un ulivo. Gennaro, con grande stupere, li guarda e, volgendosi al saggio eremita, dice subito che non era quello il pane che era solito avere. Mangiato il pane, il maestro invita Gennaro a seguirlo e a fare la volontà del Signore. Gennaro, dice la leggenda, non ci pensò due volte, e si aggregò alla comitiva, abbandonando alle sue spalle non solo i maiali, che avrebbero raggiunto da soli la greppia, come gli aveva assicurato l’eremita, ma anche gli ulivi e la terra che gli aveva dato i natali, allontanandosi per sempre dalle montagne del Poro. Ed ora i Caronitesi, raggianti di orgoglio, additano ai passeggeri i ruderi della casetta sul clivo Pirrò, dove Gennaro avrebbe avuto i natali, gli ulivi verdeggianti e floridi, se pur vetusti, e financo la rupe come sacra, su cui sarebbe apparso il loro Santo durante un’incursione dei saraceni per metterli in fuga, nonché una nicchia, nel cui interno quei montanari ripongono voti e lampade, in segno di devozione. Ma già in tempi antichi, e cioè prima del sec. XVI, sia la rupe, che la “muraglia di pietra e calcina lunga tre metri e alta uno”, che si suppone, più che un rudere della casa, fossero i resti della chiesa di Calafàtoni, la quale solea comunemente chiamarsi la “casa della nascita di San Gennaro”; sia le piante di ulivo, erano meta di pellegrinaggio per i poveri montanari, i quali si recavano colà per deporre le loro offerte e per raccomandarsi al Santo martire, loro conterraneo.

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