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Una riflessione sulla politica vibonese

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Inabissarsi nelle profondità dell’oceano Pacifico dove pare vivano esseri mostruosi e raccapriccianti. Per molti anni, lo spettacolo della politichetta localistica ha offerto un’immagine non dissimile. Poi, data l’enormità del paragone, si è pensato «di riportare la politica fra la “ggente”, per la “ggente”, con la “ggente”». I risultati sono stati a tratti degni del titolo di un film di Carlo Verdone, della serie: “Perdiamoci di vista”. Troppo grande l’emozione, lo choc o cos’altro? Ma questa è una terra antica che non ha bisogno di visioni oniriche o incubi da Dylan Dog. C’è il Mito che sorregge ogni iniziativa umana. Giunse, pertanto, provvidenziale, la Panacea personificata dalla Provincia. Giovani in cerca di occupazione, professionisti rampanti, personaggi in cerca d’autore rivolsero lo sguardo nell’univoca direzione dell’ente provincia, con la stessa intensità con la quale le signorine ammirano Brad Pitt e i signorini Belen Rodriguez. Inutile sottolinearlo, tranne che per pochi, la delusione è stata cocente. Della serie: “Sedotti e bidonati”. La Regione, invece, è vista ormai come un’astronave. Un mezzo per varcare i limiti di un angusto mondo con rappresentanti capaci di annientare nell’immaginario collettivo la figura del capitano Kirk. Non rimane che volgere lo sguardo verso il parlamento. Un tempo i suoi rappresentanti erano visti come un caterpillar capace di smuovere ogni ostacolo allo sviluppo delle comunità. Un ruolo che a volte interpretavano con la forza di un elefante, altre con l’astuzia di una volpe. I metodi, spesso discutibili; la visione politica e la concretezza dell’operato quasi mai. Oggi, invece, la loro utilità percepita é uguale a quella di una maglietta che ha perso quattro taglie a seguito di un errato lavaggio in lavatrice. Si spalancano, così, le porte a una dimensione escatologica della politica. Un senso di attesa quasi mistica che per sua stessa natura ha bisogno della terra promessa: la municipalità. La drastica riduzione dei consiglieri non ha eliminato tale visione. Si fa strada, in tal modo, il nuovo ruolo degli interpreti delle istanze localistiche, sospeso tra il sacerdozio amministrativo e l’atomistica chiusura in una specie di piccolo mondo antico (senza la magia letteraria di Antonio Fogazzaro). Inevitabile la ricaduta in una sorta di circolo asfittico; le idee lasciano il posto all’azione, quasi sempre dettata dalle emergenze e dalle urgenze. La politica, in tutto ciò, sembra ormai un malato terminale. Un peso morto in caduta libera. Pericoloso e per niente affascinante. La politica vibonese appare sempre più incapace di spunti originali e priva di saggezza. Una vera e propria sagra del tedio. A volte anche peggio, una sorta di fiera della vacuità. Individuare spunti interessanti comporta la stessa difficoltà che ritrovare il classico ago nel pagliaio. Eppure in tutto questo grigiore (decisamente tendente al nero funereo) persiste qualche speranza: gli occhi vispi degli allievi di Zambrone, la passione per gli strumenti musicali popolari dei ragazzi di Serra San Bruno, la determinazione delle donne zaccanopolesi che lavorano stagionalmente, le anziane coltivatrici di Ricadi orgogliose della produzione delle loro cipolle, gli animatori dell’oratorio di Caria, la contagiosa umanità degli anziani zungresi, le giovani e coraggiose giornaliste che credono nel diritto dovere di informare e formare, la ripresa civile dei ragazzi e delle donne di Tropea. E allora vengono in mente i versi del poeta Kahlil Gibran: “Non si può toccare l’alba se non si sono percorsi i sentieri della notte”.

Corrado L’Andolina

Pubblicato su L’Ora della Calabria, il 9 settembre 2013, p. 16

 

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