In sede di commento al post di Mario Vallone relativo all’ultima seduta di C.C., grondante (giusto) sdegno per i gratuiti attacchi nei confronti di chi pretende di manifestare posizioni eterodosse rispetto al modello di “pensiero unico” vagheggiato dal “Direttorio” e il cui contenuto in larghissima parte condividiamo, avevamo annunciato un nostro intervento sulla delicata questione del conferimento della responsabilità dei Servizi e della titolarità delle corrispondenti Posizioni Organizzative in capo ad alcuni componenti dell’Organo Esecutivo. A livello di opinione pubblica, sulla inopportunità di tale conferimento pare esservi larga convergenza di vedute; assai più sfumata appare invece la percezione della sua illegittimità. Sulle “fesserie” addotte, con la consueta protervia, dai diretti interessati (Sindaco e Assessori/Responsabili di Servizio) a sostegno della bontà e addirittura della ineluttabilità di una simile soluzione ― pena, udite udite, la messa a rischio di posti di lavoro ― riteniamo sia il caso di stendere un velo pietoso. Esse, infatti, miravano unicamente all’obiettivo (centrato) di eludere la questione sollevata con l’interpellanza, introducendo surrettiziamente nel dibattito elementi ad esso completamente estranei e aventi il solo fine di inquinarne lo sviluppo creando circostanze psicologicamente coartanti nei confronti della relatrice, tali da renderle particolarmente gravoso il compito di illustrare il contenuto di un documento invece (dalla stessa, riteniamo) ben confezionato. Ma, quali che siano le – a nostro avviso, ribadiamo, ridicole – ragioni a sostegno dell’opportunità della nomina, tale aspetto rimane assorbito dalla palese illegittimità della stessa.
Sintetizzando, un atto amministrativo può definirsi legittimo quando è conforme alla normativa che ne disciplina l’adozione; per compiere tale valutazione occorre, quindi, individuare le norme che presiedono all’adozione dello stesso, che nel nostro caso sono quattro:
1) Art. 107 del TUEL che fissa il principio della separazione tra i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo e la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica, attribuendo i primi agli organi di governo e la seconda ai dirigenti;
2) Art. 53, co. 23 della L. n. 388/2000 (Finanziaria 2001), così come modificato dall’art. 29, co. 4 della L. n. 448/2001 (Finanziaria 2002), che prevede una facoltà di deroga al principio predetto, con possibilità di attribuire ai componenti dell’Organo Esecutivo la responsabilità dei Servizi, purché ricorrano le due condizioni che tale ipotesi sia prevista dal regolamento di organizzazione dell’ente e che ad avvalersene siano comuni con una popolazione inferiore a cinquemila abitanti;
3) Art. 35 Statuto comunale, che al primo comma afferma “Al Sindaco, al Vice Sindaco, agli Assessori e ai Consiglieri Comunali è vietato ricoprire incarichi e assumere consulenze, anche a titolo gratuito, presso il comune, … “, mentre al secondo sancisce il divieto in capo ai medesimi soggetti “di effettuare a favore dell’Ente donazioni in denaro, beni mobili o immobili o altra utilità per tutto il periodo di espletamento del mandato”;
4) Art. 17, co. 6 del Regolamento comunale sull’ordinamento degli Uffici e dei Servizi che prevede espressamente che il Sindaco possa, previa delibera di G.C., affidare a componenti dell’Organo Esecutivo la responsabilità di uno o più Servizi.
Appare del tutto chiaro che il Sindaco nel conferire gli incarichi agli Assessori non ha tenuto minimamente conto della portata ostativa della disposizione statutaria nonostante sia la Suprema Corte (cfr. Cass. SS.UU. Civili sent. n. 12868 del 16/06/2005) che la giurisprudenza amministrativa (cfr. TAR Salerno, sent. n. 943/2006) abbiano chiarito che il rapporto tra legge statale e statuti comunali è non già di gerarchia, salvo per quel che attiene ai principi inderogabili fissati dalla legge, bensì di competenza. In sede di risposta all’interpellanza si sarebbe, quindi, dovuto correttamente prendere atto dell’esistenza di una norma statutaria che, lungi dal venire in collisione con principi inderogabili, ribadisce invece un principio generale posto dalla legislazione statale e che quindi non può essere inficiata nella sua validità ed efficacia da una diversa norma legislativa che, anziché introdurre a sua volta principi inderogabili, si limita a prevedere una semplice facoltà di deroga al principio generale al quale l’atto di normazione locale si è uniformato. Risulta, dunque, di palmare evidenza che con la predetta norma statutaria il Comune, nel legittimo esercizio della sua potestà normativa, si sia autopreclusa la possibilità di beneficiare della deroga prevista dalla normativa statale. D’altra parte, non è senza significato il fatto che in sede di risposta all’interpellanza il Sindaco non abbia mai neppure nominato la norma statutaria, limitandosi a “pistàri l’acqua nt’o murtaru” insistendo sul contenuto della norma statale “autorizzatrice”.
Anche sul versante del rapporto Statuto-Regolamento, dall’analisi dei dati testuali si perviene alla conclusione che la norma regolamentare deve considerarsi certamente cedevole rispetto alla contrastante disposizione statutaria, posto che (tralasciando di richiamare tutte le altre norme di contenuto analogo) l’art. 4 della L. n. 131/2003 – attuativo degli artt. 114, secondo comma, e 117, sesto comma, della Costituzione – al secondo capoverso espressamente statuisce: “L’organizzazione degli enti locali è disciplinata dai regolamenti nel rispetto delle norme statutarie”.
Non pare quindi revocabile in dubbio che, in presenza delle condizioni sopra evidenziate (legge che fissa un principio generale – legge successiva che prevede una facoltà di deroga a tale principio – norma statutaria che statuisce nello stesso senso della legge che sancisce il principio generale oggetto di possibile deroga – regolamento comunale che autorizza la G.C. ad avvalersi di tale facoltà), l’esercizio della facoltà di deroga al principio di separazione tra attività di indirizzo e controllo politico e attività di gestione non può non passare attraverso una modifica statutaria ad opera del Consiglio Comunale. Modifica che il Consiglio non si è degnato di apportare neanche quando, nella semi-clandestinità, con deliberazione n. 2 del 24/02/2011 ha approvato una corposa riforma del principale atto normativo di fonte comunale.
A suggello dell’assoluta incoerenza degli amministratori drapiesi può essere richiamata la deliberazione di C.C. n. 3 del 24/02/2011 con la quale sono stati approvati i criteri generali cui dovrà uniformarsi la Giunta in sede di approvazione (quando?) del nuovo regolamento sull’ordinamento degli Uffici e dei Servizi in applicazione del D. Lgs. n. 150/2009. Uno di tali principi fissava come obiettivo da perseguire (si è visto quanto finora rispettato!) “una separazione più attenta tra l’organo di controllo e di indirizzo politico e la gestione, con ampia responsabilità, dei dirigenti ”. Sedeva al tavolo dei deliberanti un Consigliere-Assessore che nel momento stesso in cui il Consiglio, anche col voto favorevole di costui, affermava quel principio ne incarnava il tradimento trovandosi a ricoprire (legittimamente? occorre chiedersi, tenuto conto di quanto fin qui esposto) il ruolo di Responsabile dell’Ufficio Tributi, esperienza che successivamente avrebbe replicato con riferimento a tutti i Servizi in cui si articola la struttura organizzativa dell’Ente, di uno dei quali – quello finanziario – lo vediamo oggi stabilmente alla guida in sostituzione della precedente validissima Responsabile, rea – come denunciato chiaramente dal consigliere Cosmo Vallone nel corso di due distinte sedute consiliari e come del resto tutti sanno – di non essersi mostrata, nell’esercitare le funzioni di cui è stata poi spogliata, acriticamente prona ai desiderata dell’Organo Esecutivo. Come si può evincere dal virgolettato, la delibera summenzionata parla di separazione tra organi cui fanno capo funzioni diverse, non di semplice distinzione tra funzioni che possono confluire in capo ad un medesimo soggetto; e ciò è sufficiente a proiettare la giusta luce sulle panzane sparate dal Sindaco in sede di interpretazione dell’art. 3, co. 2 del regolamento sui controlli interni.
Di fronte alla palese illegittimità degli atti di conferimento degli incarichi di Responsabile di Servizio a nulla valgono le considerazioni del Sindaco sulla competenza tecnica (tra l’altro, ci risulta, da nessuno messa in dubbio) degli Assessori investitine. Inoltre, nessuno disconosce che tali Assessori abbiano dedicato parte del loro tempo allo svolgimento di un’attività pubblica non retribuita; altra questione è se tale sacrificio, sulla base di una valutazione complessiva, sia poi effettivamente ridondato a vantaggio dell’ente, ma non è questa la sede più adatta per approfondire tale aspetto. Infine, di fronte alla “minaccia” degli interessati di ritirare la loro disponibilità, non essendone l’impegno da tutti adeguatamente apprezzato, il commento più spontaneo che ci viene da esprimere è il seguente: «Ce ne faremo una ragione!».
Un’ultima considerazione. Nel corso della discussione il Sindaco ha sfidato la minoranza consiliare ad indicare un solo modo alternativo rispetto a quello praticato idoneo a produrre una riduzione della spesa per il personale, che a suo dire ha consentito la permanenza in servizio presso il comune di altre figure professionali. Ebbene, glielo suggeriamo noi (e potrebbero anche essere più di uno): sarebbe bastato fare quello che l’Amministrazione troppo spesso non fa, e cioè rispettare la legge; ci riferiamo, in questo caso, alla legge che impone la gestione associata delle funzioni fondamentali per i piccoli comuni. Tale obbligo è divenuto effettivo, per almeno tre delle funzioni fondamentali delineate dal legislatore, dall’inizio dell’anno in corso: ecco, sarebbe bastato adempiervi ed includere nelle tre quella relativa all’organizzazione generale dell’amministrazione, gestione finanziaria e contabile e di controllo.
Ci fermiamo qui, resistendo all’impulso di procedere ad alcune puntualizzazioni in ordine a quanto affermato dal Sindaco in sede di trattazione del punto relativo al rendiconto della gestione finanziaria, nel corso della quale non sono state risparmiate allusive frecciate a questa associazione. Per evitare di appesantire eccessivamente il presente intervento, ci limitiamo telegraficamente a dire che anche noi, come il primo cittadino, siamo convinti che i fatti parlino da soli; soprattutto quando, come quelli da noi denunciati, sono corroborati da inoppugnabili addentellati documentali.
Rodolfo Mamone
Presidente associazione DRAPIA IN EUROPA
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