Mesi addietro mi sono incontrato a Caria con Cicco Rombolà. Sono stato a casa sua per farmi raccontare le ricerche archeologiche alle quali ha finora partecipato in tutto il circondario di Tropea. E’ stato un piacere chiacchierare con lui. In particolare, abbiamo discusso degli ultimi scavi che il prof Pacciarelli dell’Università di Napoli ed il prof Jung dell’Università di Strasburgo stavano conducendo a Torre Galli (CLICCA QUI PER LEGGERE L’ARTICOLO) ed a Zambrone (CLICCA QUI PER LEGGERE L’ARTICOLO).
Cicco mi ha illustrato, con la solita saggezza e precisione, l’importanza di questi scavi e mi ha detto che Pacciarelli, suo carissimo amico, lo aveva avvisato che col nuovo anno avrebbero diffuso gli esiti dei recenti ritrovamenti zambronesi e che ci sarebbe stata in tal senso una gradita e importante sorpresa. Pacciarelli non aveva anticipato altro al nostro Rombolà perché così quest’ultimo, nell’attesa, avrebbe potuto apprezzare di più e gustare maggiormente la notizia. Salutando Cicco gli avevo chiesto di tenermi aggiornato sulla vicenda perché questi temi mi hanno sempre appassionato e perché vedo in questi argomenti una tangibile opportunità di sviluppo per il nostro territorio. E Cicco ha mantenuto la sua promessa; venerdì scorso mi ha chiamato per dirmi che lunedì a Vibo ci sarebbe stata la conferenza stampa di Pacciarelli e di Jung durante la quale avrebbero comunicato proprio i primi risultati ufficiali dell’analisi dei ritrovamenti archeologici.
Ha introdotto la conferenza stampa Maria Teresa Iannelli della Soprintendenza, la quale, nel presentare i professori Pacciarelli e Jung presenti anche loro in sala, ha spiegato che la zona di Zambrone è conosciuta per la sua particolarità fin dai primi anni novanta. E grazie a questi due docenti recentemente è stato finanziato un progetto dal MIUR per effettuare degli ulteriori scavi e approfondire la questione.
Questi scavi sono iniziati la scorsa estate e dovrebbero riprendere tra qualche mese. Come ha spiegato Pacciarelli nel prosieguo della conferenza stampa, sono stati eseguiti da un’equipe della Federico II di Napoli, in collaborazione con l’università di Salisburgo. Hanno preso parte alla “spedizione” numerosi ragazzi, per i quali questa è stata un’ottima occasione di crescita professionale.
Il docente dell’Università napoletana, dopo aver elogiato il comportamento della Soprintendenza, sempre aperta e disponibile nei loro confronti, ha descritto meglio il progetto che lo ha visto come protagonista. Il primo grande risultato è stato l’ottenimento del vincolo, apposto all’area nei pressi di Zambrone. Questo ha permesso di preservarla e metterla al sicuro.
Il promontorio di Zambrone, ha poi spiegato Pacciarelli, è una località che nei vari periodi dell’Eta’ del Bronzo ha avuto una certa rilevanza. Qui, infatti, viveva una comunità ben organizzata; una civiltà con dei connotati originali e ben distinguibili. I greci giunti in questi luoghi vi hanno quindi trovato una forma di società ben articolata, non insediamenti da considerarsi inferiori ad essi.
Pacciarelli a questo punto ha fatto una digressione sugli scavi di Paolo Orsi, definito il più grande archeologo italiano, il quale si interessò dell’Italia meridionale, specie della Sicilia e della Calabria tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900. Lo sguardo di Orsi non si limitò solo al periodo greco, ma si estese anche ad epoche precedenti, cioè alle comunità preitaliche, su tutte Torre Galli, località oggigiorno nel territorio comunale di Drapia. A Torre Galli Orsi ritrovò una necropoli ed individuò un’antichissima città risalente al IX sec a.C. (come detto gli scavi a Torre Galli sono ripresi di recente, proprio nell’ambito di questo medesimo progetto archeologico). Addirittura il nome Italia, come ha precisato lo stesso docente, deriva da queste zone e dalla Calabria meridionale si estese nei secoli successivi a tutta la nazione. Come già detto, i popoli che qui vi abitavano erano da considerarsi, anche da parte degli stessi greci, non come inferiori, ma come una “controparte”. Essi si stabilirono in queste zone perché il territorio era molto ospitale. La comunità di Torre Galli coltivava, infatti, dei terreni che studi geologici hanno catalogato tra i più fertili del mondo, in quanto remote eruzioni vulcaniche li avevano resi tali. Vi erano perciò tutte le condizioni affinché si sviluppasse in questa zona una civiltà fiorente. Insomma, in Calabria, o meglio, nel vibonese, si sono sviluppati “agglomerati” fin da epoche antichissime.
Tornando a Zambrone, l’insediamento risale ad un periodo compreso tra il 1800 ed il 1200 a.c. . Questo luogo, essendo un promontorio, era l’ideale per l’approdo delle navi. Sappiamo che i micenei costruivano degli approdi strategici (ad esempio uno vi era alle isole Eolie) e questo nei pressi di Tropea doveva quindi essere un luogo di approdo, ma -attenzione- non si trattava di una colonia come si era ipotizzato: qui vi era, lo ripeto per la terza volta, una comunità già esistente e abbastanza sviluppata, con una conformazione ed identità propria, che ebbe con i micenei scambi non solo commerciali ma anche culturali. Ed i micenei, nella loro “espansione” si allargarono verso il Mediterraneo, ma non solo verso lo Ionio come si pensava finora, anzi, dapprima puntarono maggiormente verso il Tirreno, finora considerato dagli studiosi una rotta inizialmente non di primaria importanza.
Gli studiosi avevano quindi sottovalutato il ruolo del Tirreno specie tra il 1300 ed il 1200. Il progetto dell’Università di Napoli e di Salisburgo è nato proprio per approfondire le interazioni tra la Calabria meridionale e il mondo egeo e colmare, in un certo senso, questa lacuna.
Nella prima fase del progetto una ditta tedesca ha effettuato una ricerca sul terreno servendosi di un magnetometro. Durante questa analisi è stata individuata una fortificazione dell’antico insediamento, più precisamente un fossato, segno che questo era un luogo chiave e bisognava preservarlo dagli attacchi esterni.
Gli scavi si sono concentrati proprio su questo fossato, rivelatosi un vero e proprio scrigno di informazioni. In questo sito sono stati ritrovati tantissimi pezzi di ceramica ed una serie di elementi, ad esempio ossa di animali, che consentono di stabilire come viveva la popolazione indigena. Praticava la caccia (all’epoca nei pressi dell’abitato probabilmente vi erano ettari di boschi) e la pesca (trovate innumerevoli ed enormi patelle), coltivava il farro, l’orzo, le fave e addirittura la vite (forse – pensate – si faceva anche la vinificazione).
Tra tutti questi ritrovamenti si è distinta una statuetta di avorio, uno dei tanti inequivocabili segni che attestano i contatti col mondo miceneo.
Nonostante si tratti di un reperto molto piccolo, quello che svela e che può svelare è di notevole rilevanza. Il manufatto è di avorio di elefante, e dovrebbe essere la più antica rappresentazione della figura umana con caratteri naturalistici finora trovata in tutto il Mediterraneo occidentale. E’ stata realizzata secondo i canoni della civiltà minoica dell’Eta cosiddetta dei “Secondi Palazzi” (XVII-XV sec a. C.). Non si sa se si tratti di un adoratore o di una divinità. La sia può associare ad altre figure presenti in dei sigilli micenei per cercare di saperne di più. Da questo confronto si può ipotizzare che si tratti di una divinità. Ad ogni modo, come Jung ha riferito, il suo ritrovamento a Zambrone testimonia una relazione speciale tra la Calabria meridionale e la Grecia. Tuttavia, accertato questo legame particolare e accertato che a Zambrone non vi era una colonia ma un insediamento preesistente, vi sono ancora altri aspetti da approfondire. Questa statuetta, secondo il docente austriaco, potrà aiutare a scrivere (anzi, a riscrivere) pagine di storia. Bisognerà ora capire meglio quando è arrivata a Zambrone e quale significato ha realmente avuto per la popolazione indigena.
MarioVallone
IN BASSO LE IMMAGINI DELLE SLIDE PROIETTATE DURANTE LA CONFERENZA STAMPA. GUARDATELE CON ATTENZIONE PERCHE’ VI POSSONO AIUTARE A COMPRENDERE LA PORTATA DEL RITROVAMENTO ARCHEOLOGICO
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