Sentiamo spesso dire, da parte dei nostri amministratori locali, che si stanno dando da fare per tutelare e valorizzare il territorio e che, principalmente a causa della mancanza di risorse, è difficile intervenire per recuperare il patrimonio artistico, storico e culturale drapiese.
Sarà vero che si stanno dando da fare?
Sarà vero che mancano i soldi per la cultura?
Beh, quanto alla prima domanda la risposta la trovate nel prossimo paragrafo di questo dossier. Quanto ai soldi, come testimoniano i fatti, c’erano e ci sono. Sono stati e continuano ad essere spesi, come testimoniano sempre gli stessi fatti, per opere, il più delle volte, secondo me, inutili. Ma, nonostante nell’Anno del Signore 2013 si spendano la maggior parte delle risorse comunali disponibili per cementificare e fare marciapiedi, io credo che ci sia comunque il modo per recuperare, almeno in parte, il patrimonio culturale e artistico del nostro territorio.
Come?
Ancor prima di illustrare queste modalità, a mio parere praticabili ed efficaci, è tuttavia opportuno fare un passo indietro ed elencare, qui di seguito, gli edifici, gli spazi ed i luoghi ai quali mi sto riferendo, elencazione corredata da imprescindibili specificazioni.
L’ELENCO DEI SITI ABBANDONATI E DEGRADATI PRESENTI NEL COMUNE DI Drapia
Per facilità di esposizione e per favorire il lettore nell’individuazione dei luoghi, immaginiamo di percorrere la provinciale 17 che da Tropea ci porta nel territorio del comune di Drapia: la strada in salita con le curve a gomito che ognuno di noi avrà percorso una miriade di volte (a fare questo tragitto, particolare non di poco conto, sono anche molti turisti che in estate, giunti a Tropea, magari desiderano visitare l’immediato entroterra). Ebbene, una volta entrati da questo lato nel territorio comunale drapiese si incrocia, salendo, a destra di chi guida, il Campo di Sant’Angelo, una delle pochissime strutture sportive dotate di pista di atletica della Provincia. Non è un bel vedere. L’impianto, infatti, è da 20 anni in stato di abbandono. Finalmente, dopo le continue promesse dell’Amministrazione provinciale (proprietaria dell’impianto) la situazione si è sbloccata ed i lavori di recupero dell’impianto sono da poco iniziati, ma purtroppo si sono fermati per ragioni non ben chiare.
Continuando a salire in automobile, dopo circa 400 metri, sempre sulla destra, c’è una chiesetta, proprio al bivio per Brattirò, che si regge in piedi grazie ai sostegni metallici adoperati dai muratori per edificare le solette edilizie. L’edificio religioso, dedicato a San Rocco, custodisce (si fa per dire) al proprio interno la statua del Santo e ormai da tre anni (o più) è transennato perché pericolante. Esso appartiene a dei privati e non rappresenta di certo uno spettacolo positivo, soprattutto per i turisti.
Proseguiamo con il nostro viaggio in auto e, dopo meno di 200 metri dalla chiesetta ci ritroviamo di fronte altri due monumenti, entrambi a ridosso della seconda curva dopo il bivio di San Rocco: la fontana cosiddetta “di SantAgasi” e la chiesa di Sant’Agata. Anche qui non un bel vedere in quanto la fontana (che sarebbe perfettamente funzionante) non viene restaurata da parecchio tempo. La chiesa, poi, è da decenni sconsacrata e senza tetto, soffitto crollato da tanto tempo. La fontana è di competenza comunale, mentre la chiesa appartiene a dei privati.
Saliamo ancora, direzione Caria, frazione di Drapia che dista meno di un km dal punto dove si trovano gli ultimi due monumenti citati. A Caria lo sguardo dell’automobilista, anche senza fare attenzione, va a finire sul castello Galluppi, antica residenza nobiliare che, all’inizio del ‘900, è stata appunta “trasformata” in una sorta di castello. Dopo quasi 30 anni di vicende giudiziarie, nel 2009 il Comune è riuscito finalmente ad entrare in possesso di questo sito. Il castello, e la chiesetta annessa, sono in pessimo stato. Nel maggio 2010 l’Amministrazione guidata dal sindaco Porcelli ha ottenuto 380 mila euro dalla Regione per i primi interventi di recupero, ma i lavori non sono ancora iniziati (mah…). Dovrebbero iniziare a breve…speriamo!
Saliamo ancora con la nostra auto, percorriamo altri 500 metri e imbocchiamo, in località Torre Galli, la stradina a sinistra che ci porta davanti alla chiesa di Sant’Agostino, edificio non antico ma letteralmente abbandonato e in uno stato di assoluto degrado, da decenni sconsacrato, in passato utilizzato anche, a quanto pare, per riti satanici. L’edificio appartiene a dei privati. Di nuovo non un bel vedere (non vale la pena neppure ribadirlo che non è un bel vedere).
Riprendiamo di nuovo la marcia sulla nostra auto e ci dirigiamo verso monte Poro. Sulla sinistra troviamo anche qui un antico rudere: il palazzo di Torre Galli. Di esso rimangono le mura e anch’esso appartiene a dei privati.
Di rilevanza mondiale è il sito archeologico presente nella stessa località Torre Galli, proprio nei pressi del sopracitato rudere. Esso è ritenuto il più importante del Mediterraneo per quanto riguarda l’età del ferro. Qui durante la scorsa estate è stata completata la prima fare di alcuni importantissimi scavi condotti dall’Università di Napoli. Questi scavi riprenderanno il prossimo anno (gli amministratori drapiesi non sono andati neppure a salutare questi studiosi, quindi non penso che abbiano sensibilità ed interesse verso questo argomento).
A non molta distanza da tale luogo, in un posto non raggiungibile in auto, ma solo con una guida esperta in quanto nascosto tra le sterpaglie e in un dirupo, vi è poi la “Grotta di Santu Liu”, rifugio eremitico con bellissimi affreschi, risalente a mille anni fa. Un vero e proprio gioiello che però è abbandonato e, considerata la posizione, è addirittura inaccessibile (mai nessuno ha costruito un accesso in legno per permettere a chiunque di visitarla). Recentemente abbiamo segnalato la presenza di un albero che, impedendo ai raggi del sole di penetrare nell’anfratto, sta mettendo a serio rischio gli affreschi. Ma i nostri amministratori hanno fatto “orecchio da mercante”.
Sempre nei boschi della frazione Caria vi sono inoltre altri siti archeologici. Uno di questi ricade lungo il tragitto della Variante di Caria, strada in costruzione che costerà miliardi di vecchie lire (per questo tipo di infrastrutture, da molti ritenute inutili, pericolose e con un impatto ambientale devastante, i soldi, a quanto pare, vengono stanziati). Alla fine degli scavi, tuttavia, l’asfalto ricoprirà ogni cosa anche il luogo dove è stato ritrovato un cimitero di circa 4000 mila anni prima di Cristo, con delle caratteristiche particolari.
Un altro cimitero, però di epoca medievale, si trova a non molta distanza da quest’ultimo sito. Si tratta di un luogo, in prossimità del quale esiste ancora oggi una grotta eremitica, e dove sono ben visibili alcuni antichissimi loculi scavati nella roccia. Vengono chiamati dalla popolazione “tombe saracene”, ma si tratta di un cimitero basiliano. Gli scavi, tuttavia, non sono stati mai portati avanti, e il sito, come molti altri appena citati, è abbandonato (non vengono mai tagliate le erbacce e di costruire una staccionata neppure se ne parla negli “ambienti” amministrativi).
Un altro rudere celeberrimo, anzi solo due colonne, si trovano invece a valle rispetto al paese Drapia. Sono i resti dell’antichissimo monastero di San Sergio (costruito nel ‘700 e “attivo” fino al XVIII secolo). Il monastero, a quanto pare, è sotto terra e di scavi per riscoprirne l’immenso significato non se ne parla, come pure non se ne parla di riportare alla luce i resti dell’insediamento basiliano in località Santu Sidaru (tra Brattirò e Caria) e la cosiddetta “Cava i Giorgi” (quest’ultima, si tramanda sia l’entrata di un cunicolo utilizzato dai saraceni per raggiungere i lidi di Tropea, ma questo non è stato mai provato).
E l’elenco dei posti di interesse artistico e culturale abbandonati non finisce qui. All’entrata di Drapia, ad esempio, vi è un’altra chiesetta, credo privata, anch’essa abbandonata.
E tra i siti che necessitano tutela rientra anche la fontana di Santicocimeo a Brattirò che sorge in un appezzamento privato. Tale fontana, un tempo affollata dai contadini del posto che la utilizzavano per varie cose, oggi è invasa dalle erbacce: uno spettacolo desolante.
Sempre riguardo alle tante sorgenti disseminate nel territorio comunale, ve ne sono tante altre che avrebbero bisogno di interventi di manutenzione (tra queste la cosiddetta “Funtana Vecchia” di Brattirò dove a gennaio 2011 si è verificato un crollo), come pure vi sono bellissimi ruderi di antichi mulini in prossimità dei corsi d’acqua che scorrono attraverso il territorio (tutti su terreni privati).
A questo punto ci fermiamo con la nostra elencazione pur non essendo convinti di avere citato tutto ciò che c’era da citare (forse qualcosa ci sarà sfuggita). Veniamo perciò, come accennato all’inizio di questo resoconto giornalistico, a quelli che pensiamo possano essere gli “espedienti” per tutelare e recuperare almeno qualcuno di questi luoghi e valorizzarli.
COSA SI POTREBBE E SI DOVREBBE FARE PER RECUPERARE ALMENO QUALCUNO DI QUESTI LUOGHI.
Ripeto. Le mie considerazioni si riferiscono sempre all’ipotesi in cui non si voglia intervenire (come accade da decenni) impiegando risorse del Comune, quindi continuando a usare i fondi comunali per fare, ancora oggi, squallidi marciapiede e cementificazioni che non portano alcun beneficio alla collettività, ma solo ai soliti pochi noti.
Il fatto che sia difficile intervenire per recuperare e ripristinare questi siti non significa che sia impossibile o che non valga la pena neppure provarci. Per quanto riguarda i luoghi e gli edifici di proprietà pubblica (quindi appartenenti al Comune o alla Provincia) qualcosa si può fare senz’altro, anzi: si deve fare. Ma purtroppo sono pochi quelli pubblici. Per il castello Galluppi, nonostante i ritardi, siamo sulla strada giusta e, siamo sempre sulla strada giusta per il campo di Sant’Angelo (speriamo!). Il problema si pone suscitando maggiore preoccupazione per i molti siti abbandonati che abbiamo visto appartenere a privati. Gli enti pubblici, almeno direttamente, non possono fare molto. Non hanno, tanto per intenderci, la possibilità di recuperare e richiedere direttamente fondi per restaurarli.
Cosa si può fare allora?
Beh, gli amministratori potrebbero anzitutto spronare i privati ad adoperarsi per restaurarli. Sappiamo che questi privati, molto probabilmente, non hanno i soldi (non sono sempre famiglie indigenti ma spesso ex “gnuri” che potrebbero comunque racimolare il denaro, magari vendendo un pezzetto di terra tra tutti gli appezzamenti che hanno).
Altra opzione, per i poteri pubblici, è richiedere ai proprietari una donazione (le due chiese di Brattirò sono state costruite in terreni donati da privati, segno che questa strada in passato è stata praticata) oppure stanziare denaro e donarlo ai privati per restaurare gli edifici.
Ulteriore ipotesi, come detto improbabile perché i soldi comunali vengono destinati ad altro, sarebbe arrivare all’esproprio. Questa misura comporterebbe esborso di denaro da parte del Comune, ma si avrebbe poi la possibilità di richiedere fondi agli enti di livello superiore per recuperare il sito (non si può infatti chiedere denaro alla Regione per una chiesa privata, ma se la chiesa è del Comune la cosa è fattibile e ne è un esempio la chiesetta del cimitero restaurata dalla precedente amministrazione).
Se falliscono questi tentativi, si potrebbe allora sensibilizzare la popolazione a raccogliere fondi da destinare a questi edifici (magari dare l’impulso per la creazione di una fondazione o un’associazione con finalità di questo tipo). Se, ad esempio, e mi rivolgo soprattutto alle associazioni attive sul territorio, si organizzassero degli eventi estivi nelle 4 frazioni e il ricavato si destinasse a recuperare un monumento, questo potrebbe riprendere a vivere e così vale anche per altri luoghi abbandonati.
Insomma, i mezzi, seppur non immediati e semplici, seppur basati sullo sprone e sullo stimolo ad agire, analizzando bene la situazione vengono fuori. Quello che realmente è mancato e manca, come dicevamo in apertura, è la voglia di fare qualcosa, non solo tra gli amministratori, ma anche tra la popolazione e le associazioni locali. E quanto esposto penso non valga solo per il comune di Drapia, ma per buona parte del vibonese e della nostra regione.
COSA BISOGNA ASSOLUTAMENTE EVITARE DI FARE
Un qualcosa di imprescindibile, che non si dovrebbe mai smettere di fare, è parlare del problema, tirarlo fuori, ripetere che il nostro patrimonio culturale è in gran parte abbandonato, e dire che esistono anche delle soluzioni. La Pro loco, poco tempo fa, tanto per fare un esempio, ha prodotto dei filmati di denuncia su alcuni luoghi degradati del comune e, dopo queste segnalazioni, vi era stato un interessamento dell’importante associazione Italia Nostra che si era detta disponibile a collaborare per aiutare a trovare delle soluzioni. La vicenda poi non ha avuto seguito per vari motivi, ma almeno qualcosa si era mosso nella direzione giusta proprio perché si era parlato di questi problemi. Recentemente, inoltre, il consigliere regionale Alfonsino Grillo, dopo aver letto alcuni nostri articoli di denuncia ha segnalato i siti archeologici drapiesi formalmente all’assessore regionale alla Cultura, Mario Caligiuri.
Parlare, quindi, parlare, e parlare: bisogna parlare sempre, sensibilizzare, evitare di tacere.
Il rischio, altrimenti, è quello di far cadere le cose nel dimenticatoio, nell’oblio. Un’eventualità, quest’ultima, che forse qualcuno vorrebbe ma che è inaccettabile e, senza alcun dubbio, il peggiore dei mali.
MarioVallone