“La tua bellizza mi la fici fare/Te tegnu ‘ntra lu pettu ohi fermamenti/Cumu lo scogghiu ‘mmenzu di lu mari/Lu fazzu pe dispettu di la genti”. Sono i versi di un canto popolare dell’area “Aramonese” di molti secoli fa. Una strofa d’amore che testimonia quale fosse, in passato, il sentimento più importante degli uomini del Sud e del Vibonese in particolare: l’amore. Ma oggi, nel Vibonese, questo calamitante moto dell’animo, come si manifesta? Cambiano i tempi, i luoghi e le circostanze e con esse anche le ritualità e le modalità espressive. Non ci sono più le campagne a fare da cornice alla passione pura di due innamorati. Le feste di fidanzamento, praticamente abolite. Le “rota” e cioè la modalità tipica del ballo popolare, occasione propizia di nuove conoscenze, un ricordo che rivive nei seminari organizzati da qualche associazione. Nella contemporaneità, l’amore si manifesta in altri modi. Un cenno d’intesa, uno sguardo accondiscendente e due adolescenti che frequentano il liceo scientifico di Vibo Valentia si scambiano un’eterna promessa d’amore. Una scena non dissimile si registra a Tropea, fra due ragazzi, non ancora maggiorenni, che suggellano la loro promessa d’amore lungo il corso, all’orizzonte il mare Tirreno con le sue ammalianti cromature azzurro-verde. E quanto amore c’è nella coppia di anziani contadini zambronesi ormai prossimi a festeggiare le nozze d’oro? Ma l’amore, sentimento dolce e potente al contempo, pervade la vita anche di due professionisti di mezza età che vivono a Serra San Bruno. Ed é presente pure negli occhi di una giovane coppia vibonese che si accinge a vivere la felicità più grande, quella di diventare genitori. Immagini tratte, il 14 febbraio scorso dalle realtà locale, non dissimili da quelle dei grandi centri urbani. La ricorrenza di “San Valentino”, a Vibo come a Milano si esprime con la gioia nel cuore… Perché è sufficiente una promessa d’amore o il suo rinnovo per vivere serenamente il presente. Magari pochi attimi di letizia, ma sono quelli che danno alla vita dimensione e qualità. Alla fin fine, è proprio questo nobile sentimento la linfa vitale di ogni processo di speranza. Ci sono tanti modi per esprimere il proprio affetto verso l’altro. Un fascio di fiori, una scatola di cioccolatini, un anello o quant’altro. Ma il modo migliore, per una popolazione che vive il romanticismo con intensità e autenticità, rimane il canto popolare. Nella cosiddetta “festa degli innamorati” qualcuno avrà intonato un verso d’amore appartenuto agli avi. Un modo originale per un’equilibrata sintesi tra l’eterna passione dell’innamoramento e la maturità di un amore che non cessa mai di informare di sé ogni piccolo e grande gesto della quotidianità. In tanti avranno canticchiato “Aquila bella” il canto di Nicola Perronace più affascinante della letteratura musicale calabrese. Altri, infine, declamati i versi di un antico canto zambronese, raccolto da Maria Meli nel saggio “Viaggio tra due culture” da titolo: “Capji niri” (Capelli neri): “Capji niri ed occhi joculani/chi ti meri ‘ssa vucca quando arridi!” La frunti tu la fai specchiuliari/la gula ch’è cchiù janca di la nivi/li manu toi fannu bellu vidiri/ed a lu cintu ‘na corda riali/lighi l’amanti e nò li voi sciogghiri”. (Capelli neri ed occhi ridenti/è bella la tua bocca quando ridi!/La fronte tu ce l’hai risplendente/la gola è più bianca della neve/le braccia son due alberi di navi/le mani sono belle da vedere ed hai alla vita un canto reale/leghi gli amanti e non li vuoi lasciare).
Corrado L’Andolina
Pubblicato su Calabria Ora il 15 febbraio 2013, p. 28
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