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Ricordando Don Milani. “Lettera ad una professoressa”

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AMICI LETTORI, OGGI VI PROPONIAMO UN INTERESSANTE INTERVENTO DEL PROF ANTONIO PUGLIESE DI BRATTIRO’, DOCENTE DI CLINICA VETERINARIA ALL’UNIVERSITA’ DI MESSINA. IL PROF PUGLIESE PARTECIPA DI CONTINUO A DIBATTITI E CONVEGNI IN TUTTA ITALIA E NON SOLO SU TEMI SCIENTIFICI. QUALCHE ANNO FA, IN UNO DI QUESTI INCONTRI, PIU’ PRECISAMENTE IN UN CONVEGNO ORGANIZZATO A LIMBADI, ALLA PRESENZA, TRA GLI ALTRI, DEL NOSTRO VESCOVO LUIGI RENZO, IL NOSTRO PUGLIESE HA ESPOSTO AI PRESENTI IL SUO PENSIERO SU DON MILANI, FIGURA DI ENORME RILIEVO SOTTO DIVERSI PUNTI DI VISTA.

BUONA LETTURA

Don Lorenzo Milani

Negli anni in cui  frequentavo gli studi superiori, ginnasio e successivamente liceo classico, sempre in quel piccolo centro  acculturato e annobiliato vicino al mio paese, si avviava  in Europa e quindi anche in Italia un movimento contestatore che incominciava dalla scuola per sfociare poi’ in altre realtà  contingenti, forse più importanti o più pregnanti come le fabbriche e i grandi indotti.

Relativamente al mondo della scuola e al suo sistema di insegnamento, senza escludere il reclutamento, decisamente subordinato al ceto sociale o ancor meglio alla disponibilità economica, si avvertiva in modo pressante  la necessità di un  contributo innovativo  per porre  fine ad una scuola di  classe, quale espressione di  continuità del ventennio,  per avviare una scuola nuova adeguata ai tempi e forse meno ingessata  nelle sue  prerogative di rigidità e classismo.

Capofila di questo movimento,  esitato successivamente in una “rivoluzione culturale” che,  per raggiungere certi obbiettivi ha dovuto riempire le piazze, occupare gli istituti scolastici e principalmente le università, sempre nell’ambito della formazione, il priore di un paesino di montagna vicino Firenze, don Lorenzo Milani , parroco di Barbiana.

Don Lorenzo,  “Pierino figlio del dottore..” cosi si legge in una interpretazione autobiografica di questi personaggi, avverte in quegli anni la necessità di una cultura per tutti,  elemento indispensabile per fare qualsiasi mestiere o professione.

La scuola dell’obbligo, allora di recente istituzione, per quanto garantisse al bambino poi adolescente il diritto a 8 anni di scolarizzazione, non era riuscita ancora  a trasformare quel carattere  selettivo in formativo. Ma ancora di più non per tutti era possibile frequentare giornalmente la scuola dell’obbligo specialmente in relazione alle diversità orografiche  e alle esigenze della famiglie.

 Non dimentichiamo che la popolazione era distribuita su tutto il territorio nazionale con una densità significativa nei paesi e nelle campagne,  quando ancora la città era una chimera e l’urbanizzazione una realtà a venire. La maggior parte della popolazione viveva di agricoltura e in mancanza di stimoli e finanziamenti, come oggi,  difficilmente riusciva a sbarcare il lunario.

Quindi i figli, subito dopo il primo vagito,  avevano il dovere di collaborare con la famiglia  portando ciascuno  un  piccolo  contributo che poteva essere anche una brocca di acqua fresca  nella forte calura dei mesi estivi.

Barbiana di Vicchio del Mugello (FI) era una località montana dove le anime di Don Lorenzo non sempre potevano acquisire quegli elementi primordiali della cultura  sia perché non sempre potevano raggiungere le strutture scolastiche, sia perché non sempre, per le ragioni sopra esposte, veniva consentito.

Don Milani , animato dal suo sacerdozio, sente l’esigenza di  dare a quelle anime impuberi e innocenti della sua parrocchia gli elementi indispensabili domani per poter  lavorare. Cosi avvia un percorso formativo in loco istituendo una scuola “privata” con caratteri e connotazioni diverse  da quella che oggi si intende, gratuita e nello stesso tempo  caratterizzata da un target diverso.

Cosi come nelle scuole serali si provvedeva ad insegnare ai meno baciati dalla sorte, “gli analfabeti”; in quel periodo continuavano ad essere un numero significativo, ad apporre il proprio nome e cognome, sulle richieste di certificati o negli uffici,  i ragazzi avevano bisogno di studiare per uscire insieme dai problemi. Una scuola  più che dell’obbligo,  della necessità che aveva come obiettivo di superare l’oppressione e la sofferenza della montagna, di dare una preparazione sindacale e politica e facilitare quella permanenza all’estero all’età di 13.14. 15 anni conoscendo un po’ le lingue e i modi di essere e di vivere degli altri paesi.

Un percorso formativo, forse senza precedenti, che esitava annualmente negli esami della scuola pubblica e quindi nella registrazione all’anno superiore.

Dopo 10 anni di vita, la scuola di Barbiana subisce una battuta di arresto: due dei ragazzi preparati da don Lorenzo, vocati all’insegnamento, all’esame da privatisti alla prima magistrale, vengono respinti.

Un evento raro senza precedenti,  aggravato, ulteriormente, dal fatto che questi stessi ragazzi avevano contribuito a preparare i più piccini agli esami delle scuole medie.

Lo stato d’animo di don Lorenzo e dei suoi ragazzi è stato così umiliato da portarli inizialmente ad una vibrante protesta nei confronti dell’istituzione e subito dopo ad avviare quella famigerata ricerca sulla scuola che  venne degnamente compendiata in un volume pregno di analisi e commenti, senza trascurare l’impegno di fornire dei suggerimenti su come cambiare le cose.

Dopo  un anno e passa di lavoro (era il 1967)  “Lettera ad una professoressa” veniva consegnata alle stampe  e pochi mesi dopo don Lorenzo moriva, senza poter contemplare gli esiti e gli effetti del suo lavoro, che dopo altre 40 anni rimangono ancora di una sorprendente attualità.

Quaranta anni non sufficienti per smorzare i toni, per affievolire le luci, per ridurre gli echi di questo caposaldo della letteratura  reattiva che con le sue novità, le sue accuse, i suoi  argomenti stringenti, precisi e documentati, le sue proposte  e il suo linguaggio  semplice ha saputo dire quelle verità che tutti intuivano ma pochi riuscivano ad esprimere.

Un messaggio forte che la stessa contestazione studentesca del 1968 si impegnò a portare avanti.

Così quel  Pierino del dottore che, come diceva la professoressa, scriveva bene, parlava come loro, appartiene alla ditta,  aveva il diritto di andare avanti; diversamente un altro ragazzo come Gianni, figlio del birocciaio, che parlava come il babbo che nel volerlo indottrinare ad un lessico  sintattico  correggeva il bambino a non chiamare  lalla la radio che si chiamava radio, doveva restare nell’eterna ignoranza.

 Per questo pero’ Gianni non poteva esser cacciato dalla scuola.

Tutti i cittadini  sono uguali senza distinzione di lingua.

Un concetto diverso dai ragazzi di Barbiana per il figlio del dottore e dallo stesso don Lorenzo che impersonando  nel suo io e avendo ben conosciuto le peculiarità della sorte, poteva meglio degli altri capire il senso e le differenze che si veniva a costituire.

Povero Pierino mi fai quasi compassione, il privilegio lo hai pagato caro. Deformato dalla specializzazione, dai libri, dal contatto con la gente  tutta uguale.

Perché non vieni via? Lascia l’Università, le cariche, i partiti mettiti soltanto a insegnare lingua solo e null’altro. Fai strada ai poveri senza farti strada. Smetti di leggere, sparisci. E’ l’ultima missione della tua classe.

Una realtà simile si trovava ogni pie sospinto  e sicuramente, con i debiti rilievi  geografici, Barbiana non era così diversa dalla  nostra realtà  e quanto riportato in quel  capolavoro da i ragazzi di Don Milani aveva tanti elementi di sovrapponibilità.

In Calabria, dove l’agricoltura rappresentava la principale occupazione e il reddito, non sempre consentiva di sbarcare il lunario, si viveva la steSsa realtà sociale e culturale e tanti Don Lorenzo hanno indirizzato il loro sacerdozio a dare quegli elementi primordiali ad una gente dignitosa, elemento che ha sempre contraddistinto gli abitanti di questo paese, che accanto alla dignità hanno sempre saputo accostare orgoglio e  senso dell’appartenenza. Gente operosa che non ha mai atteso la “manna dal cielo” ma, verosimilmente per un DNA di atavica memoria, si è sempre adoprata alla trasformazione delle colture per migliorarne la produttività.

Questa testimonianza per ricordare Don Milani ma nello stesso tempo per rimarcare che grazie a questi insegnamenti e a queste ideologie, noi oggi siamo qui non solo a rivendicare il nostro vissuto ma nello stesso tempo per portare una messaggio nuovo alle future generazioni affinché possano intendere che determinati obbiettivi  si possono raggiungere solo ed esclusivamente con la cultura.

Noi ne rappresentiamo oggi una realtà tangibile, in quanto all’insegna dei sacrifici e delle sofferenze, memori di quante problematiche hanno affrontato i nostri genitori, non abbiamo mai “dimenticato il sacco”, come diceva il Manzoni, e con lo stesso spirito stacanovista, che ha contraddistinto i padri, siamo andati lontano sventolando sempre il vessillo dell’ onestà morale ed intellettuale.

 Antonio Pugliese

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