“…Alla fine del milleottocento, fu ristrutturato il cimitero comunale (u cipuiaru) in un terreno di proprietà di un signore soprannominato Panaru (da ciò l’espressione: ‘ncindi jamu o cipujaru o ‘ncindi jamu undi panaru).
Prima, i morti venivano tumulati nella cripta sotto il pavimento della chiesa, in una fossa comune, alla quale si accedeva attraverso una botola.
A tal proposito, si racconta un evento raccapricciante, un fatto realmente accaduto.
Morì una donna che stava sola e non aveva parenti e fu sepolta nella cripta della chiesa. Venne chiusa la botola e ognuno, dopo la tumulazione, se ne tornò a casa. Forse si trattava di una morte apparente, forse la donna era solo in uno stato di sopore; allora le tumulazioni venivano fatte molto prima delle ventiquattro ore, oggi previste, dal decesso.
Poco dopo la tumulazione, si udirono grida disperate in chiesa, provenienti dalla botola che chiudeva la cripta. La donna “morta” gridava: “Nighiru Micu, Nighiru Micu, aprimi!”; Nighiru Micu era il sacrestano. Costui, udendo quelle disperate grida si spaventò, chiamò il prete e con loro accorse tanta gente. Decisero di aprire la botola.
Per il seguito del racconto (questo evento successe a fine ottocento), si raccontano due versioni. Una è che aprirono la botola, volutamente dopo qualche giorno, quando da tempo non si sentivano più le grida, né lamenti, né richiami di soccorso e di aiuto e quindi si era sicuri che la donna fosse morta. Trovarono il cadavere della donna con la “curuna” ossia un cercine di lenzuolo sulla testa nel tentativo di sollevare la botola. In questo tentativo ella aveva accostato tanti cadaveri, l’un sull’altro, che, dietro la spinta che la sventurata esercitava, cedettero non consentendole di aprire la botola e uscire. E questa è la versione più verosimile. La seconda versione è che, alle grida della donna, aprirono la botola, ma, per timore di contrarre malattie o per paura o altro, la sventurata, invece di essere tratta in salvo, fu uccisa a colpi di croce.”
Pasquale Vallone
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