Drapia, una riflessione sulla Democrazia

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Il palazzo municipale di Drapia

RICEVIAMO e PUBBLICHIAMO. Archiviate le vacanze estive, è forse opportuno ritornare su un accadimento che, pur avendo determinato un sommovimento nella politica locale, a livello di opinione pubblica è scivolato via quasi sotto silenzio. Lo scorso 6 agosto è apparsa su questo spazio web una nota del consigliere Cosmo Vallone volta a conferire ulteriore vigore alle motivazioni che lo hanno indotto a non votare il bilancio di previsione 2012 nella seduta consiliare del 30 giugno u.s.; in tale sede, infatti, l’amministratore aveva lamentato il mancato coinvolgimento suo (in quanto rappresentante della volontà popolare) e dei cittadini (in sede consultiva, non vincolante) nelle decisioni relative all’impiego di un consistente avanzo di amministrazione riferibile agli esercizi precedenti, non ricevendo inoltre dai colleghi di maggioranza una risposta chiara alla reiterata richiesta di specificare cosa dovesse precisamente intendersi per interventi di “riqualificazione e decoro urbano dei centri abitati”, che – tra fondi comunali disponibili e ricorso all’indebitamento – andranno ad assorbire una cifra vicina ai seicentomila euro. Le risposte che Vallone sollecitava, arrivando addirittura a definire “segreto di Pulcinella” l’imbarazzata e imbarazzante reticenza dei colleghi del gruppo consiliare di appartenenza, hanno potuto, infine, essere attinte dagli atti ufficiali nel momento in cui la G.C., con deliberazioni nn. 56, 57 e 58 del 1° agosto, ha approvato i progetti definitivi (contestualmente ai preliminari!) concernenti gli interventi suddetti. A segreto pulcinelliano svelato, le valutazioni di Vallone sono diventate doppiamente critiche, andando ad investire oltre al metodo anche il merito delle decisioni di spesa. Noi, pur condividendo le critiche di merito mosse da Vallone, intendiamo concentrare la nostra riflessione sul primo aspetto: quello relativo al metodo seguito in vista della decisione del tipo di interventi da attuare. Non è da oggi che invochiamo l’approvazione di un regolamento sulla partecipazione popolare, né siamo i soli; a tal proposito vorremmo che fosse noto a tutti che l’associazione “Drapia in Europa” con nota prot. n. 4570 del 25/07/2010 aveva inoltrato formale richiesta al Presidente del Consiglio Comunale (Sindaco) e a tutti i consiglieri di rendersi promotori di una proposta di mozione che impegnasse l’assise comunale ad approvare in tempi definiti il regolamento sulla partecipazione popolare. Non solo il Consiglio non si è ― a distanza di oltre due anni ― impegnato in tal senso, ma pare addirittura che alcuni consiglieri (e se fosse vero sarebbe gravissimo, oltre che profondamente irriguardoso per gli stessi) non siano stati neppure informati della richiesta di cui erano destinatari. Ciò detto, non riusciamo veramente a comprendere la ragione per la quale tale strumento normativo venga considerato dal Consiglio Comunale, da tutto il Consiglio, una sorta di ordigno di derivazione satanica dal quale tenersi a debita distanza.

Eppure i programmi elettorali di entrambe le liste che si sono contese il governo dell’ente nel giugno del 2009 concedevano ampio spazio al tema della partecipazione popolare; addirittura la compagine poi risultata vincente, con specifico riferimento al punto PROGRAMMAZIONE E BILANCIO (è ciò di cui si parla), si spingeva ad affermare:“La gestione del bilancio dovrà essere basata su criteri di trasparenza e chiarezza al fine di rendere partecipi i cittadini …“ Ora, non diciamo che si dovesse, o si debba in futuro, giungere all’ “esagerazione” del c.d. bilancio partecipato, ma almeno l’intelligente proposta avanzata da un componente della maggioranza di ascoltare, “a scopo ricognitivo”, le preferenze dei cittadini poteva essere accolta. E invece nulla, nemmeno la semplice, più volte invocata, pubblicazione online dei bilanci preventivi e dei rendiconti a fini informativi.

Se fosse stato in vigore il regolamento sulla partecipazione popolare non ci sarebbe stato bisogno, come abbiamo già avuto modo di far notare attraverso una nota ufficiale indirizzata ai componenti della G.C. e per conoscenza allo stesso consigliere Vallone ― la cui condivisibile lista di proposte chiedevamo venisse arricchita di una voce (rigettata dal Sindaco con malcelato fastidio, nonostante la sua corrispondenza ad un impegno elettorale) ― che da rappresentante del popolo invocasse come atto di concessione della Giunta Comunale ai cittadini ciò che dovrebbe costituire, invece, oggetto di un diritto e, comunque, buona prassi amministrativa. Sappia Vallone che se deciderà di avvalersi delle prerogative connesse all’ufficio di consigliere comunale per tentare di sovvertire la logica che vuole i cittadini (e, purtroppo, come egli stesso ha avuto modo di sperimentare, molto spesso anche gli stessi consiglieri) fuori da ogni processo decisionale ― logica funzionale unicamente agli interessi del c.d. “partito del cemento” o, secondo altra denominazione, “direttorio” ― avrà il sostegno di quelle formazioni sociali che la partecipazione popolare hanno elevato a tratto distintivo del proprio oggetto sociale; minore ottimismo ci sentiamo di esprimere, invece, circa una possibile risposta positiva dei cittadini, una cospicua parte dei quali sembrerebbe essere affetta da una sorta di sindrome di Stoccolma che li vede in una condizione di succubanza psicologica nei confronti di chi, trattandoli alla stregua di veri e propri minus habentes, da troppo tempo ne disconosce il ruolo attivo, relegandoli al rango di semplici tributari del consenso (ogni riferimento alla lobby che da alcuni lustri “determina” le scelte amministrative nel Comune è puramente voluto). Se il ruolo attivo dei cittadini si esaurisse nella sola scelta dei governanti attraverso l’esercizio dl diritto di voto, non avrebbe alcun senso tutta la normativa sulla partecipazione popolare; e di tale presunta inutilità parrebbe essere convinta l’attuale maggioranza consiliare se è vero come è vero che rivendica, esplicitamente e in una sede che più istituzionale non si può (seduta di C.C.), il diritto di assumere le decisioni amministrative senza dover ascoltare nessuno, in quanto a ciò legittimata dal mandato popolare a suo tempo ricevuto. Naturalmente tutte le tesi, anche le più strampalate, in democrazia possono essere sostenute; a noi, comunque, a parte il contrasto già accennato di una simile posizione con tutta la normativa sulla partecipazione popolare, appare assai balzana la pretesa che da un lato ci si faccia forti del consenso elettorale ottenuto e dall’altro si trascuri di considerare che, in sede di approvazione del più importante atto di programmazione comunale, uno dei terminali di quel consenso ― figura di assoluto rilievo non solo per il ruolo di vice-sindaco rivestito fino a circa otto mesi fa, ma anche per l’apporto quali-quantitativo (trattasi di persona molto stimata, cui sono state tributate oltre 140 preferenze) con il quale ha contribuito in maniera decisiva al successo elettorale dell’attuale maggioranza ― decide di non assumerne la paternità, adducendo motivazioni che afferiscono al concetto tecnico di rappresentanza, ma addirittura lo trascendono per andare a involgere quello, politico, di rappresentatività.

Nella nota di Vallone è contenuta un’affermazione, non smentita, secondo la quale il progetto dell’intervento da realizzare nella frazione Brattirò era, alla data di celebrazione del Consiglio, già in fase di ultimazione “all’insaputa del Sindaco”. Delle due l’una: o il Sindaco era al corrente del tipo di opera da realizzare, e allora non si comprendono le ragioni della sua reticenza in sede consiliare; oppure ne era all’oscuro, e ciò aprirebbe l’adito alle più preoccupanti congetture, rendendo non solo legittima ma doverosa la domanda “chi comanda nel comune di Drapia?” che la sig.ra Maria Domenica Ruffa ha posto in un suo pregevole intervento a commento della vicenda.

Non basta; la compagine di maggioranza ha ritenuto di ravvisare una contraddizione tra la pretesa di Vallone di autodeterminarsi nelle scelte amministrative e la richiesta di ascoltare i cittadini, non avendo evidentemente ben chiara la differenza che passa tra una auspicabile partecipazione popolare (concorso dei cittadini nell’assunzione delle decisioni amministrative), una non commendevole ma ancora lecita attività di lobbying (pressioni di gruppi organizzati sul potere politico per ottenere provvedimenti favorevoli) ed una certamente illecita intromissione indebita nelle scelte amministrative (il privato decide sostanzialmente i provvedimenti da emanare). Non certamente al primo di tali concetti si riferiva Vallone quando, parlando giustamente di “aggressione alla democrazia”, ha riferito di “voci” secondo le quali alcuni amministratori avrebbero chiesto “pareri o determinazioni” sulle opere pubbliche da realizzare a determinati (nel senso di differenziati rispetto alla generalità degli amministrati) soggetti esterni all’amministrazione; qui infatti si ricade nel divieto di mandato imperativo, ricorrendo, nel migliore dei casi, il secondo dei concetti sopra richiamati.

Nessuna antinomia, quindi, nella posizione del Consigliere Vallone, ma solo una chiara percezione del corretto rapporto autorità-libertà nella fisiologia di un ordinamento (nella specie quello comunale) che aspiri a definirsi democratico: i cittadini hanno il diritto di esprimere opinioni e di avanzare proposte attraverso strumenti adeguati a garantirne la presa in considerazione; gli amministratori hanno il diritto (che nessuno si è mai sognato di mettere in discussione) di operare le scelte finali.

Sicuramente non ascrivibile alla categoria delle “voci” è, invece, l’intervento consiliare dell’Assessore al Bilancio, secondo il quale all’amministrazione nel suo complesso compete di determinare le “quote” (testuale) degli investimenti da realizzare nei singoli centri abitati, rimanendo appannaggio dei rappresentanti territoriali degli stessi la scelta degli interventi da mettere in atto, “sentendo i propri elettori; come è giusto, perché siamo in democrazia” [sic]. Ora, il modello di “democrazia” tratteggiato dall’assessore, che implicitamente distingue tra cittadini di serie A (propri elettori) e cittadini di serie B (non elettori o elettori di altri), non solo si pone in contrasto con il divieto di mandato imperativo dianzi richiamato, ma, addirittura, pur nella sua rozzezza concettuale, non risulta avere mai avuto pratica applicazione; non conserviamo infatti memoria, con riferimento ai singoli paesi, di incontri ― diciamo così ― “semi-pubblici” a scopo consultivo, aperti perlomeno alla partecipazione di quanti non appaia dubbio che “del voto  abbiano saputo fare buon uso” (i cittadini di serie A). Non resta che concludere che la locuzione “sentendo i propri elettori” rinvii alla pratica stigmatizzata da Vallone (decisioni amministrative “indirizzate” dall’esterno) quando parlava di democrazia violentata ed evocava segreti riconducibili alla celeberrima maschera della commedia dell’arte.

Tuttavia, una volta che si decida di adottare la mai troppo deprecata logica delle “quote”, icasticamente ribattezzata da Vallone logica dei campi da tennis o dell’uno per quattro (la stessa opera realizzata in ciascuno dei quattro centri), ci si deve almeno ricordare che i paesi di cui il comune si compone sono, appunto, quattro; e allora non si spiega l’esclusione di Drapia capoluogo dal piano di interventi di riqualificazione urbana, tanto più se si considera che tale borgo è l’unico nel comune che può vantare un centro storico degno di questo nome. Circola voce che tale esclusione sia compensata da una richiesta di finanziamento, ai sensi della L. R. n. 24/1987, di un progetto per lavori di messa in sicurezza del centro abitato; ma, a parte l’intrinseca aleatorietà di simili risorse, l’unico dato certo è che, ad oggi, di tale contributo negli atti di programmazione comunale recentemente approvati (bilancio di previsione e piano triennale delle opere pubbliche) non c’è traccia. E allora non deve suscitare risentimento l’esternazione della citata sig.ra Ruffa che, da drapiese e “drapiota”, bolla come iniqua l’amministrazione.

Il fronte di discussione coraggiosamente aperto dal consigliere Vallone ci fa venire in mente che forse non aveva tutti i torti il Presidente dell’associazione “Drapia in Europa” (Rodolfo Mamone) quando in una nota pubblicata sul numero di agosto del 2011 del mensile “La Piazza”, nel tracciare con lucida spietatezza un affresco dello stato della democrazia nel Comune di Drapia, dove pure non mancava qualche accenno di autocritica, evocava una trista entità (il direttorio) capace di esercitare un opprimente controllo su ogni aspetto della vita amministrativa drapiese, ma si diceva parimenti convinto che non pochi tra gli amministratori fossero persone perbene e dotate di buona intelligenza, semmai con qualche deficit sul piano caratteriale e dell’esperienza, e che quindi non era del tutto da escludere che alcuni di essi decidessero prima o poi di sottrarsi al destino di caudatari per loro programmato da altri. Della bontà delle analisi mamoniane i recenti sviluppi sembrerebbero fornire piena conferma.

Chiudiamo con una doverosa precisazione, onde evitare fraintendimenti e/o strumentalizzazioni: il presente intervento non è da intendersi a favore del consigliere Vallone, ma ― se ci è consentito ― della Democrazia, che in Vallone ha, nella circostanza, trovato un alfiere.

            DRAPIA, 2 settembre 2012

                                                                     Comitato Civico “Impegno Sociale”

 

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