“Il Colore della Vita” di Petullà secondo De Luca

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22/08/12. Ieri sera a Marcellinara nell’Aula della Cultura “Giovanni Paolo II” è stato presentato il libro “Il Colore della Vita” di Carmelina Petullà. La manifestazione si è svolta, di fronte a numeroso pubblico attento e interessato, con la presenza del vicesindaco Vittorio Scerbo, che ha introdotto i lavori e, illustrando le caratteristiche del libro, si è complimentato con l’autrice, del prof. Pasquale De Luca che, nel suo intervento ha approfondito la tematica poetica della Petullà, e della poetessa che, visibilmente commossa, ha confidato quale è stata la spinta che l’ha portata alla pubblicazione del libro. Durante la serata sono state declamate alcune poesie, sentitamente apprezzate, mentre su uno schermo scorrevano bellissime foto della stessa Petullà. Alla fine fra il vicesindaco Vittorio Scerbo e il prof. Pasquale De Luca sono stati scambiati i doni dell’amicizia e l’augurio ad una futura collaborazione culturale.

IN BASSO LA RELAZIONE DEL PROF PASQUALE DE LUCA

Il Colore della Vita

     A volte circostanze volute o non volute determinano i fatti, che avvengono o non avvengono. Al di fuori della nostra o della altrui volontà. Disegnano i colori della vita. È quanto successo a me con la presentazione di questo libro, significativamente  titolato “Il Colore della Vita”. Circostanze che mi hanno permesso di conoscere l’autrice, Carmelina Petullà, e di visitare per la prima volta Marcellinara, questo splendido paese di Calabria, dove la signora qui presente da giovane ha visto e assorbito i primi colori della vita.

Quando ho avuto in mano il libro, di cui parleremo, al bar “Tonino” di Tropea, son rimasto piacevolmente sorpreso dal titolo, “Il Colore della Vita”, e dalla forma grafica dei due sostantivi che lo compongono: Colore e Vita, entrambi con l’iniziale maiuscola, C e V grandi come un tempo si diceva quando andavo a scuola. E dall’immagine a tutto campo di un bimbo che guarda oltre il chiuso spazio di una pagina patinata.  Mi son fermato un attimo a meditare, non ho chiesto, non ho parlato: “È mio nipotino” – mi ha detto l’autrice del libro leggendo forse nel mio pensiero un segno di iniziale perplessità. Non era perplessità, era desiderio di indovinare cosa volesse rappresentare quel bimbo, cosa racchiudesse in sé il libro. Perché un bimbo in copertina con un bel visino, vispo, sorridente? In un libro di poesie? Ho sfogliato, per dare un senso al silenzio che non aveva senso. Altre foto all’interno e scrittura in prosa. Mi domandavo perché e lei, quasi anticipasse le domande che non facevo, rispondeva: a me, forse a sé in un dialogo mai interrotto con se stessa e esplicitato nel percorso scritturale del libro.

Mia nonna, nei primi anni del secolo scorso o anche prima, lei mi diceva, qui ragazza è venuta ad accompagnare una giovanissima maestrina a fare scuola a Marcellinara, e qui son venuto oggi io, sulle sue orme,  a parlare di poesia.  A parlare della poesia di Carmelina Petullà.

Si danno diverse e opposte definizioni alla voce poesia, dipende da chi, dal momento, dall’umore, dall’occasione. Anche a me è capitato di farlo. Mi piace, però, ciò che dice la poetessa a pag. 25 e l’invito a cercarla “nel sorriso di un bimbo” (Fermati un attimo).

Ma torniamo al libro. E, per un attimo, alla copertina del libro. Essa, con quella foto, rappresenta l’immagine pulita dell’innocenza. Ed è così, perché la poesia della Petullà è poesia dell’innocenza, dell’affetto, della famiglia, della terra ed è poesia del sorriso. Nella sua poesia noi indoviniamo un sincero sentimento religioso, una diffusa religiosità della vita e della terra dove la vita è sbocciata che si esprime in modi e con tecniche diversi. Tant’è vero che l’a. utilizza il verso classico in un intreccio di prosa e di fotografia. Potrebbe sembrare che lo abbia fatto per riempire spazio, ma non è così, perché poesie, foto e prose fanno parte di un unicum in un contesto ben strutturato nelle sue componenti. Le foto illuminano di colore la poesia e rendono visibile l’amore che la p. nutre per questi luoghi, per la casa, per la famiglia, per la sua gente. Le didascalie introduttive ad ogni poesia non hanno un valore puramente introduttivo, ma fanno parte integrale della poesia stessa e ne dilatano il sentimento che l’ha dettata. Ed è soprattutto un sentimento di nostalgia per i luoghi, per le persone del passato, venato da un senso di pudore ammantato di malinconia al quale, però, spesso subentra un bisogno di speranza, di allegria.

Sono “versi prettamente autobiografici” è detto nell’Introduzione. Sì, certo; è così. Ma tutti gli artisti, di ogni genere, poeti, scrittori, pittori, scultori, compositori, e perché no anche registi e fotografi che scelgono l’inquadratura giusta, l’angolatura più adatta, consapevolmente o inconsapevolmente, inseriscono qualcosa della loro vita nella propria opera, come una mamma o un padre che mettono il proprio sangue per creare i figli, e si dice: assomiglia al padre, assomiglia alla madre. Per restare nell’ambito della poesia, Leopardi, Pascoli, D’Annunzio non hanno fatto lo stesso? E gli altri, tutti gli altri, che non cito perché non mi sono utili per l’andamento del mio dire, gli altri non hanno fatto lo stesso?

Noi non facciamo accostamenti a questo o a quel poeta del passato, a qualche scuola poetica recente, ma mettendo sul piatto della memoria, come l’a. fa, le opere femminili: il ricamo, il cerchietto, come possiamo non ricordare Leopardi? Leggendo la poesia “Non fermarti” e “Gli aquiloni”, come possiamo non vedere l’impronta del Pascoli? E D’Annunzio che fa capolino nella poesia “La danza della linfa”? Sono essi che creano l’humus culturale alla base della poesia della Petullà, che non nasconde i propri sentimenti, a volte intrisi di pessimismo, di tristezza, di amore, che non nasconde nemmeno il desiderio di farli immergere in una luce di speranza, di farli avvolgere nei colori luminosi della vita. Che lei sa, e non lo nega, è fatta di contrasti, scatti, delusioni, incertezze, solitudine, sofferenze. “Ho pianto”, lei dice, “aspettando un sorriso che non c’è” in solitudine per la solitudine vissuta nell’estraneità di un mondo a lei estraneo, o che le sembra estraneo, che non la riconosce, che lei stessa non riconosce, un mondo non suo, un mondo dove lei si sente ospite e dove i cambiamenti sono così assurdi e repentini che lasciano allibiti per “i corpi forestieri” che violentano il paesaggio ed è allora che la poesia diventa forte, decisa, di pubblica denuncia. Ed ha pianto anche nel ricordo della “Dolce piccola Bianca”, la bambina di lei mai nata che ora chiama Bianca, Bianca come la luce che lei non ha mai visto nella sua bellezza, nel suo splendore; è qui che possiamo vedere quanto amore e quanto dolore c’è nella donna, nella donna che è mamma, che riversa sulla pagina bianca una poesia bella fatta di intima sofferenza, piena di tenerezza esondante da ogni parola.

Sono poesie nostalgiche, sentimentali? Sì e no. Nella semplicità dei versi, scorrevoli, strutturalmente ben calibrati, sono poesie di forte valenza esistenziale dove si apre e si chiude un ciclo vitale fatto di amore, che è vita in quanto non è morte, verso gli altri, soprattutto è amore per la mamma ed è amore di mamma. Ed è l’amore che spinge la poetessa al sorriso che c’è nelle belle foto del bambino, il nipotino, che “Va in giro carponi” ad esplorare con curiosità le meraviglie della vita in un sorriso dolce, birichino. È lui che dà senso alla vita, speranza nella continuità della vita in un futuro che, sbagliando, noi guardiamo con gli occhi del passato. Di un passato, che, in quanto nostro, rimpiangiamo e, quindi guardiamo al futuro con apprensione, con paura perché il futuro non ci appartiene. Ed è per questo, forse, che la p. a un certo punto, nell’impossibilità di fermare il tempo “che inesorabilmente ti sfugge”, con un chiaro riferimento alla Firenze rinascimentale del Magnifico, prorompe in un grido che è un invito, un augurio, un comando a voler vivere l’oggi bloccando al presente ogni sogno, ogni desiderio in quanto solo esso ci appartiene. Ma, dice, se “i versi esprimono la varietà e l’eterno scorrere del tempo” essi non trascurano gli altri elementi della vita che ha bisogno anche di sogni, anche se la vita non è e non può essere un sogno sempre colorato d’azzurro. Infatti opportunamente lei accosta e abbina alle poesie bellissime foto che, in una diversità di colori chiari, luminosi o foschi  e opachi, mettono in evidenza cromatica la parola e il verso che si allontana verso l’orizzonte lontano in una musicalità di suoni.

Dovrei dire altro, dovrei dire singolarmente di ogni poesia; non voglio togliere a chi ci ascolta il piacere della lettura, mi piace però citare, solo citare, alcune poesie che bisognerebbe assolutamente leggere: Fermati un attimo, A mia madre, Bagliori inesistenti, Aspettando un sorriso, Dolce piccola Bianca.  Sono poesie che esprimono tutta la poeticità della Petullà, alla quale rivolgo l’augurio che esca dall’opacità del quotidiano e, in uno slancio vitale, con un sorriso ritrovi in poesia tutto “Il Colore della Vita”.

Marcellinara, martedì, 21 agosto 2012, h. 19,00

Pasquale De Luca

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One Reply to ““Il Colore della Vita” di Petullà secondo De Luca”

  1. Carmelina scrive con una scorrevolezza e semplicita’ che cattura l’attenzione e l’animo di chi legge. La sua freschezza d’animo e di pensiero la innalza ad un piano superiore alla media. Congratulazioni e ad majora!!

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