20/07/12. L’Italia è quel paese in cui, quando si tratta di imporre sacrifici e tagli ai cittadini, i nostri “cari” politici – o tecnici – lo fanno d’ufficio, ricorrendo a leggi, o, meglio, decreti, con i quali impongono ogni giorno misure lacrime e sangue con cui dissanguano il ceto medio-basso della società. Quando, invece, si tratta di imporre sacrifici e tagli ai privilegi della casta, non se ne parla nemmeno e, se si vuole ottenere qualcosa in tal senso, si deve ricorrere a referendum, con tutti i boicottaggi ed i “silenzi” del.
È così, ad esempio, per la proposta referendaria promossa dal comitato “Unione popolare”, per abolire la “diaria a titolo di rimborso spese di soggiorno a Roma” a tutti i parlamentari, proposta per la quale è in corso di svolgimento, presso tutti i comuni italiani, la raccolta di sottoscrizioni per raggiungere le 500 mila firme richieste dalla legge. Anzi, è meglio dire, dovrebbe essere in corso di svolgimento, poiché molti comuni, anche nella nostra provincia, non hanno i moduli – per non dire che non sanno proprio dello svolgimento della raccolta – per permettere ai cittadini di firmare.
Nello specifico, la raccolta firme, dal titolo “Tagli agli stipendi d’oro dei parlamentari” è partita lo scorso 12 maggio e prevede l’abrogazione dell’articolo 2 della legge 1261, 31/10/1965 il cui testo recita: “Ai membri del Parlamento è corrisposta, inoltre, una diaria a titolo di rimborso delle spese di soggiorno a Roma. Gli Uffici di Presidenza delle 2 Camere ne determinano l’ammontare sulla base di 15 giorni di presenza per ogni mese ed in misura non superiore al’’indennità di missione giornaliera prevista per i magistrati con funzioni di presidente di Sezione della cassazione ed equiparate; possono altresì stabilire le modalità per le ritenute da effettuarsi per ogni assenza dalle sedute dell’Assemblea e delle Commissioni”. Tradotto nella valuta corrente, si tratta di circa 3,5 mila euro mensili (42 mila annui) per ognuno dei circa 1000 tra deputati e senatori che riscaldano una poltrona nell’organo legislativo (quindi, circa 42 milioni di euro annui, che tramutati in lire sono parenti dei 100 miliardi del vecchio conio). Ma, chi si preoccupasse per il loro futuro, non lo faccia, non moriranno di fame. A ciascuno rimangono, infatti: indennità mensile di circa 5 mila euro (10 mila lordi), decurtati di 250 euro se si svolge altra attività lavorativa; rimborso spese per l’esercizio del mandato, 3.690 euro; spese di trasporto e viaggio, 3.323 euro (per chi percorre fino a 100 km per raggiungere l’aeroporto più vicino al luogo di residenza (3.995 euro se la distanza è superiore); spese telefoniche, 3.098 euro; non meglio specificati spese sanitarie; assegno di fine mandato, 80% del mensile lordo per ogni anno di mandato.
Dulcis in fundo, la pensione, che si ottiene a 65 anni, dopo averne trascorsi soli 5 in parlamento (60 anni per 2 o più legislature). Altro che “Win for life”! Mentre il resto degli italiani muore di fame. Quindi, l’appello ai vibonesi che ritengano giusto il referendum proposto, è quello di munirsi di regolare documento di identità e recarsi al proprio comune di residenza, dove devono avere i moduli per la sottoscrizione. Se non li hanno ancora, suggerite loro il sito internet da dove scaricarli (http://www.buonenotizie.it/?JJwwh4TU), ed insistete affinché lo facciano. Affrettatevi, però, mancano solo pochi giorni alla scadenza del 30 luglio e le firme ancora da raccogliere sono circa 200 mila.
Valerio Colaci
Ma al comune di Drapia fanno la raccolta delle firme?