30/04/12. Lo scorso sabato al Polo culturale di Santa Chiara si è svolta la presentazione del libro: “Un regno che è stato grande” di Gianni Oliva. A fare gli onori di casa Gilberto Floriani direttore del Sistema bibliotecario vibonese. Relatori: Saverio Di Bella ordinario di Storia moderna e contemporanea presso l’università di Messina, Michele Furci sindacalista e studioso di storia locale, Francesco Tassone avvocato e meridionalista. L’autore, piemontese doc, dopo avere indicato i vari passaggi che hanno reso il Regno delle Due Sicilie “grande”, si sofferma sulla damnatio memoriae cui è stato condannato il regno borbonico dall’Unità d’Italia ad oggi.
E ciò in quanto «gli esponenti della storiografia liberale -ha affermato- protagonisti del processo unitario, non potevano non dipingere gli stati preunitari in termini negativi. Questo parametro è stato applicato, in particolare al Regno delle Due Sicilie che di essi era il più grande. Parallelamente, è sorta dunque una storiografia “nostalgica” tesa ad esaltare gli aspetti positivi del regno borbonico e a negare i suoi limiti ed errori. Il 150esimo dell’Unità ha offerto la possibilità di diffondere la storia del Mezzogiorno preunitario scevra da pregiudizi ideologici».
L’indagine storica prende le mosse da Carlo salito al trono nel 1734 quanto mai attivo sul versante dell’ammodernamento delle strutture dello stato; politica poi proseguita dal figlio Ferdinando I. Nella loro azione riformatrice, padre e figlio arruolano i migliori intellettuali del regno: l’economista Ferdinando Galiani, il giurista Antonio Filangeri e uno statista di valore del calibro di Bernardo Tanucci. In tale contesto, i Borbone intaccano i privilegi nobiliari ed ecclesiastici e avviano un’intensa attività edilizia, specie su Napoli che diviene un attrattore di primo livello su scala europea.
Dopo la rivoluzione francese, cambia tutto. Con l’insurrezione del 1798 Ferdinando I viene deposto e poi richiamato grazie all’ “Esercito della Santa Fede” del cardinale Fabrizio Ruffo. La repressione sarà feroce e ciò rallenterà, enormemente, il percorso di sviluppo e crescita del Sud. Il rapporto di fiducia e collaborazione col popolo e ancor più con l’intellighenzia risulta seriamente compromesso. Ferdinando II nel 1830, tenta di avviare un nuovo percorso virtuoso. Hanno così origine molteplici iniziative, fra cui: la costruzione ferroviaria Napoli-Portici (la prima d’Italia), navi a vapore, la linea telegrafica Napoli-Palermo. Ma nel 1848 lo scontro coi progressisti diventa aspro.
«A questo punto -conclude Oliva- Ferdinando non fa concessioni e si rifugia in una gestione immobilista del potere. Viceversa, Carlo Alberto asseconda le istanze riformiste. E così il Regno di Sardegna assurge a riferimento nazionale nel processo unitario che nel giro di pochi anni definirà i confini statuali. Confluiranno nel Regno di Sardegna, infatti, personalità di tutta l’Italia: Guglielmo Pepe, Manfredo Fanti, Francesco Crispi, Francesco De Sanctis, Niccolò Tommaseo, Gabrio Casati. In pratica la nuova classe dirigente del Risorgimento».
Corrado L’Andolina
Pubblicato su Calabria Ora il 30 aprile 2012, p. 15
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