Domani la festa di San Leoluca, patrono di Vibo Valentia

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29/02/12. Domani Vibo Valentia festeggia il suo patrono San Leoluca. Nel dizionario dei Santi si legge che San Leoluca nacque nell’anno 815 in Sicilia a Corleone (la Sicilia allora era sotto il dominio dei Bizantini). I suoi genitori Leone e Teofisti, benestanti e molto religiosi, vivevano felici. Alla nascita venne chiamato Leone, dal nome del padre.

I genitori fecero in modo che quel figlio fosse veramente un figlio di Dio, facendolo crescere e vivere in un’atmosfera intensa di religione. Leone cresceva forte e virtuoso, imparò le preghiere con cui le anime si uniscono a Dio. Completati i primi studi, si dedicò a pascolare gli armenti paterni nella campagne ricche di oliveti e arance. A 20 anni perse i genitori . Lasciati i suoi averi ai poveri si “rifugiò” nel convento Basiliano di Agira. Leone, entrando nell’ordine Basiliano, prese il nome di Luca e da allora fu chiamato Leoluca. Imparò a salmodiare con i religiosi, perfezionò il suo spirito con digiuni e astinenze, in umiltà e ubbidienza. Non si sa per quanto tempo Leoluca dimorò nel convento di Agira, si sa che le scorribande dei saraceni andarono sempre più aumentando in ferocia, fino alla conquista dell’isola (anno 878).

In questi frangenti di immenso terrore, il giovane monaco Leoluca lasciò il convento di Agira trasferendosi a Roma dove, giunto come pellegrino in abito di penitenza, coi rozzi sandali, col bastone in mano, dopo un lungo cammino, pernottò in un angolo di capanna sulla paglia sotto un albero, mangiando quello che otteneva dalla carità dei buoni. Leoluca qui ritemprò il suo spirito passando molto tempo in preghiera sulle tombe dei Santi Pietro e Paolo. Successivamente si trasferì  e si stabilì in Calabria,  dove altri monaci basiliani costretti come lui a fuggire, avevano trovato rifugio presso l’antica Monteleone (l’attuale Vibo Valentia) nel monastero di Vena dove vi dimorò per sei anni. Successivamente si trasferì nel territorio detto “delle Mercuri” dove venne costruito un nuovo convento, ma dopo circa dieci anni di permanenza Leoluca fece ritorno al convento di Vena.

Morì il primo marzo dell’anno 915 (o 917) sfinito dalla forte febbre (aveva circa 100 anni) . L’ultimo giorno volle assistere alla Santa Messa e cibarsi del Pane Eucaristico. A mezzogiorno, mentre i confratelli stavano intorno al suo letto, egli rendeva la sua anima a Dio, e un sottile profumo di viola proveniente (forse) dal corpo del Santo, si effuse intorno a loro in modo insolito. La notizia della morte si diffuse rapidamente, richiamando al convento una gran folla. Il suo corpo fu sepolto nel convento Basiliano di Santa Maria. Nel 2006 nell’attuale chiesa di Santa Ruba di San Gregorio D’Ippona (comune confinante con Vibo Valentia) sarebbe stato  rinvenuto il corpo del Santo.  Le analisi  sui resti  hanno dato delle conferme, ma bisogna comunque essere prudenti al riguardo. Qui di seguito un articolo giornalistico di Stefano Carbone del maggio 2010 che illustra la questione.

 

TROVATA IN CALABRIA, A SAN GREGORIO D’IPPONA, LA TOMBA CON LE RELIQUIE DEL MONACO CORLEONESE,  PATRONO  DI VIBO VALENTIA .

SCOPERTI I RESTI DI SAN LEOLUCA

I RESTI ERANO IN UNA GROTTA DELLA CHIESA DI SANTA RUBA. LE ANALISI CONFERMANO L’IDENTITA’.

La notizia è quella di un grande evento. Nella chiesa di Santa Ruba, nel comune di San Gregorio d’Ippona, un paesino a circa due chilometri da Vibo Valentia, in Calabria, è stata ritrovata la tomba con le reliquie dell’abate San Leone Luca di Corleone, patrono della città di Vibo Valentia e di Corleone, morto oltre mille anni fa, all’età di 90-100 anni. Da qualche mese, l’eco della notizia era rimbalzata anche a Corleone, anticipata dal quotidiano «Calabria Ora», con due articoli di Salvatore Berlingieri. Ma ieri si è avuta la conferma ufficiale. Nel corso di una conferenza stampa, l’autore della scoperta, il direttore del museo di mineralogia e petrografia di Nicotera, prof. Achille Solano, ha illustrato tutti i dettagli della ricerca, che ha consentito la scoperta della tomba e delle reliquie del Santo. Accanto a Solano, oltre ai suoi collaboratori (la storica dell’arte Nicole Amato, l’architetto Patrizia Gaglianò e l’artista Angela Iannello), c’erano anche sindaco di San Gregorio, Pasquale Farfuglia, il parroco di Santa Ruba, don Gregorio Grande, e il rappresentante della diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, don Filippo Ramondino.«Tutto è partito da una ricerca sui calcari nella zona del Monte Poro – ha detto il prof. Solano – Nel corso della ricerca è stata segnalata la presenza di alcune grotte in località Santa Ruba, dove è ubicata una antica chiesa bizantina.Durante i lavori, abbiamo notato che quella grotta presentava alcune caratteristiche interessanti, quali la presenza di un altare e di un affresco. A quel punto è partita la richiesta, indirizzata alla Soprintendenza, di autorizzazione per riportare la grotta alla stato naturale. Durante i lavori di scavo, sono venuti alla luce prima alcuni reperti umani, poi una tomba dov’era sepolto un corpo con lo sguardo rivolto ad oriente». «Abbiamo subito capito – ha sottolineato Achille Solano – che ci trovavamo dinanzi ad una scoperta eccezionale. Abbiamo subito capito che si trattava del sepolcro di una persona importante, seppellita con tutti gli onori religiosi, nel posto in cui aveva la sua cella».

Immediatamente, Solano e la sua equipe hanno approfondito gli studi sulla vita dei santi di quella zona della Calabria, arrivando alla vita di San Leone Luca da Corleone. Dopo accurate ricerche e studi di antichi documenti, il professor Solano ha capito che si trovava dinanzi al sepolcro dell’abate originario di Corleone. Ma, prima di dare l’annuncio ufficiale, sono state fatte delle analisi scientifiche sui resti, che hanno confermato ulteriormente l’ipotesi. «Dalle analisi paleontologiche – ha detto, infatti, Solano – è emerso che si tratta di una persona morta in età avanzata, presumibilmente a 90 o 100 anni, vissuto attorno all’anno Mille. Le ossa evidenziano i segni di una vita di sofferenze e di continue genuflessioni. A quel punto i dubbi iniziano a svanire e si è fatto largo la certezza». L’architetto Patrizia Gaglianò ha ricostruito nei dettagli la grotta, composta da due ambienti: uno adibito a luogo di sepoltura, l’altro invece ospitava la chiesa rupestre. Un dettaglio non di poco conto, che coincide con il racconto della sepoltura fatto dagli agiografi della vita di San Leone Luca. In particolare, quello del Castani, dei padri bollandisti e di Maria Stellaldoro. La storica dell’arte Nicola Amato ha ricostruito l’affresco, posto sulla parte superiore dell’altare che copriva il sepolcro. Si tratta di una Madonna con il bambino, con al centro la figura di un Cristo. Una decorazione del primissimo periodo bizantino, che evidenziava l’importanza della persona sepolta in quel luogo. A dare una ulteriore conferma alla scoperta è stato il rappresentante della diocesi, don Filippo Ramondino, il quale ha affermato con certezza che quelle ritrovate sono le reliquie di un santo. Sia il rituale della sepoltura, che la posizione della grotta a fianco alla chiesa, secondo don Ramondino, coincidono con il racconto della sepoltura tramanda dagli agiografi della vita di San Leone Luca. Anche per le autorità ecclesiastiche, notoriamente prudenti dinanzi a questo tipo di scoperte, si tratta delle reliquie di San Leone Luca da Corleone, patrono della città di Vibo Valentia e di Corleone. (con la collaborazione di Salvatore Berlingieri). Nel corso dei secoli è sempre stato vivo il desiderio di ritrovare la tomba e il corpo di San Leoluca. Non a caso, nel 1712 padre Lodovico da Sant’Agata, ministro dei Cappuccini di Calabria, scrisse a fra’ Girolamo da Corleone, che viveva in fama di santità e di veggente, chiedendogli di avere qualche «suggerimento» in merito. Fra’ Girolamo rispose, ma con un inguaggio da profezia. «Il desiderio della città di Monteleone di venerare il corpo del glorioso San Leoluca è molto devoto e pio, e meriterebbe che il Cielo condiscendesse ai suoi voti – scrisse il cappuccino corleonese – ma poiché gli alti giudizi di Dio sono imperscrutabili, devono restare contenti della divina disposizione, la quale ha ordinato che il santo corpo deve essere ritrovato nel periodo in cui la città sarà oppressa da grandissime tribolazioni, dovendo il santo essere intercessore presso Dio per farla rifiorire a godimenti». Dopo il ritrovamento di questi giorni, sono in molti adesso a chiedersi se San Leoluca farà il «miracolo» di far «rifiorire a godimenti» sia la terra di Calabria che la terra di Sicilia. Se lo augura il sindaco di San Gregorio d’Ippona, Pasquale Farfuglia, costretto a vivere sotto scorta per le minacce della ’ndrangheta. «Questo non è un momento facile», ha dichiarato nei giorni scorsi a Nonoccio Anselmo «La ’ndrangheta ha rialzato la testa e non da pace ai nostri paesi. Perfino il nostro palazzo di giustizia è finito nel vortice dell’inquinamento mafioso ed un magistrato ed altri operatori della giustizia sono finiti sotto inchiesta e trasferiti in carcere… Se il corpo di un santo può aiutarci, ben venga». Non è meno grave la situazione in Sicilia e a Corleone, dove la «mafia silenziosa» del post- Provenzano continua ad inquinare le istituzioni, l’economia e la società. Si racconta che, il 27 maggio 1860, San Leoluca salvò Corleone dall’esercito borbonico, che voleva metterla a ferro e a fuoco. E a Vibo Valentia si raccontano tanti altri miracoli del santo corleonese. Il miracolo di San Leoluca per il Terzo millennio potrebbe essere quello di liberare queste due importanti regioni d’Italia dal flagello delle mafie.

 STEFANO CARBONE

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