La laicizzazione della giustizia è merito della dominazione francese che investì il Sud Italia dal 1806 al 1815. All’epoca i governanti d’oltralpe, sia pure fra tanti errori e soprusi, anziché ridere a crepapelle delle vicende italiche… cercarono anche di dare qualche risposta alla crisi del sistema; una lezione che andrebbe riletta con attenzione dai sedicenti bonapartisti odierni.
E così, venne creato un sistema giudiziario gestito non più dai feudatari, ma dallo Stato. Il Regno fu diviso in: giudici di pace, pretori, tribunali civili e penali. É del 1809 la grande liberalizzazione (anche questo tema di estrema attualità) che rese i cittadini tali. In tale anno vennero istituiti, infatti, i distretti, deputati alla pubblica amministrazione della giustizia nelle sedi di: Briatico, Monteleone (attuale Vibo Valentia), Monterosso, Nicotera, Pizzo, Serra San Bruno e Tropea. Ma di cosa si occuparono i primi giudici di pace della perla del Tirreno? La materia, come sempre, disciplinava i rapporti economici, rappresentati, all’epoca, dalle vicende agrarie, fra possidenti e fittavoli.
Prova ne è la prima sentenza di cui si ha notizia. Essa è riportata su un foglio ingiallito dal tempo che reca in alto lo stemma del Regno di Napoli, sia pure modificato rispetto alla sua originaria versione. Nel timbro, infatti, si scorge con chiarezza sia la Triscele siciliana che l’aquila francese. Un primo dato che balza agli occhi del navigato lettore é l’assenza di qualsiasi numero di registro generale, cronologico e di repertorio. Onore alla semplicità, virtù pressoché sconosciuta negli odierni procedimenti. La seconda peculiarità, strabiliante, riguarda, invece, la data del processo: 14 agosto 1809. È chiaro che i termini di sospensione feriale non erano stati ancora inventati. Infine, altro elemento curioso, è ll’unica causa trattata in quella data; oggi, il medesimo ufficio ne affronta mediamente quarantacinque a udienza.
La causa verte tra la signora Catarina Ieotino vedova del signor Ciro Migliorese (attrice) da Tropea e il signor Gioacchino Laria (convenuto), da Gasponi. Sostiene l’attrice che il fittavolo possedeva un terreno nel casale di Gasponi, località “Orto”, in virtù di un contratto con scadenza settembre 1811. Ma, a suo dire, il signor Gioacchino Laria, le avrebbe manifestato l’intenzione di liberarlo. Senonché, l’attrice, al momento di ritornare in possesso del lotto per fittarlo ad altra persona, incassa il rifiuto del convenuto al rilascio. Il fatto rivela una duplice ipotesi: o la signora ha cercato con l’astuzia di fittare il terreno a un migliore offerente o il convenuto prima di rilasciare l’appezzamento ha tentato di ricavarci qualcosa.
Il giudice emette sentenza interlocutoria in appena quattordici righe (quando si dice sentenza breve…). Da buon giudicante distingue «il punto di fatto è la prova per la cennata convenzione tra detti Laria e Ieotino»; «il punto di diritto, che tale convenzione è valevole a far desistere il fitto menzionato». In pratica, occorre accertare se effettivamente il fittavolo abbia dato o meno disdetta del contratto vigente inter partes. Il giudice opta, appunto, per una soluzione interlocutoria.
E, dunque, chiede alle parti che diano esecuzione ai mezzi istruttori. Sia l’attrice che il convenuto sono obbligati a convocare i testimoni presso l’ufficio per fargli rendere, in merito, circostanziate dichiarazioni. Tanto per essere chiari, il giudice articola in maniera stringata ma severa, l’oggetto della prova stessa, epurandola, come si direbbe con terminologia giuridica contemporanea, di elementi inficiati da valutazioni soggettive e arbitrarie. La decisione sorprendente riguarda il rinvio. Per l’acquisizione della prova e la decisione, la causa è rinviata di soli tre giorni… È proprio il caso di dirlo: una giustizia al servizio del cittadino!
Corrado L’Andolina
Pubblicato su Calabria Ora il 24 gennaio 2012, p. 29
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