Giudice di pace Tropea, chiusura vicina. Ma…

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29/01/12. La decisione di riordinare gli uffici giudiziari risale allo scorso 14 settembre 2011, allorquando la legge numero 148 ha convertito in legge il decreto 138/2011 (cosiddetta manovra correttiva bis). A ben vedere, tuttavia, la sorte dei Giudici unici (ex Preture) non è segnata inesorabilmente. Piuttosto, si demanda la loro eventuale chiusura alla verifica di un insieme di parametri oggettivi: “estensione del territorio, numero degli abitanti, carichi di lavoro, indice delle sopravvenienze, specificità territoriale del bacino di utenza anche con riguardo alla situazione infrastrutturale, tasso d’impatto sulla criminalità organizzata”. Alla luce di tali criteri, gli strumenti per un’operazione di salvataggio dell’ufficio giudiziario tropeano, probabilmente erano (e sono) ben presenti. In merito, tranne rare eccezione (in primis la sede locale del Fli) hanno taciuto tutti: la politica, i sindaci del comprensorio, gli avvocati, uomini e donne di cultura.

Perché? Due le possibili risposte: o una cupa rassegnazione ai draconiani tagli dell’apparato giudiziario decisa dal governo oppure la sfiducia (considerato il rapporto costi benefici) circa il mantenimento di un organismo locale capace di dare risposte di giustizia. Stessa sorte è toccata agli uffici del Giudice di pace. In questo caso i criteri seguiti dalla legge, per la loro abolizione, sono due: “domanda di giustizia e bacino territoriale di utenza”. Sul primo criterio, si è ritenuto di mantenere in vita gli uffici che superino i 568 procedimenti annui (un numero che l’ufficio di Tropea copre ogni anno). In merito al secondo, invece, la soglia degli abitanti è di 100mila unità. La disposizione di legge, però, introduce un meccanismo di mantenimento ben delineato. E infatti, è previsto che: “entro sessanta giorni dalla pubblicazione delle tabelle di riordino degli uffici del giudice di pace, gli enti locali interessati, anche consorziati tra loro, possono richiedere il mantenimento degli uffici del giudice di pace, con competenza sui rispettivi territori, di cui è proposta la soppressione, anche tramite eventuale accorpamento, facendosi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia nelle relative sedi; in tali ipotesi dovrà essere messo a disposizione dagli enti locali anche il personale amministrativo necessario alla gestione dell’ufficio e rimarrà a carico dell’amministrazione giudiziaria, unicamente, la determinazione dell’organico del personale di magistratura onoraria entro i limiti della dotazione nazionale complessiva nonché la formazione del personale amministrativo”. In pratica, se i comuni decidessero di consorziarsi per il mantenimento delle spese dell’ufficio, l’organo di giustizia potrebbe continuare la sua attività.

Siccome il provvedimento che cancella gli uffici è stato approvato lo scorso 16 dicembre, rimarrebbe, ancora, un modesto ma sufficiente arco temporale per mettere in campo una strategia per il salvataggio di tale fondamentale presidio. Il dato discutibile della disposizione riguarda proprio il personale. In pratica: se gli uffici chiudono, gli impiegati saranno trasferiti al Giudice di pace di Vibo Valentia e rimarranno nel ruolo impiegatizio del ministero della Giustizia. Invece, se i comuni decidessero di consorziarsi, il personale dovrebbe essere trasferito sul consorzio stesso. La decisione, francamente, risulta penalizzante per la formazione dei consorzi e, oggettivamente, priva di intrinseca razionalità. Secondo molti osservatori, sarebbe stato sufficiente trasferire agli eventuali consorzi solo gli oneri dell’immobile, perché, in caso di loro mancata costituzione, le spese del personale rimarranno sempre a carico del competente ministero. Ma in questo Paese, come testimoniano le recenti cronache, ormai, si naviga a vista…

Corrado L’Andolina

Pubblicato su Calabria Ora il 24 gennaio 2012, p. 29

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